La dura intervista di Sandro Bondi su Berlusconi

«Oggi Forza Italia è incomprensibile per chi non conosca la vita privata di Berlusconi»

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)

Sandro Bondi, politico di lungo corso del centrodestra e a lungo alleato e consigliere di Silvio Berlusconi, ha dato a Dario Cresto-Dina, vicedirettore di Repubblica, un’intervista in cui commenta molto criticamente la carriera politica dello stesso Berlusconi – dal quale si è molto allontanato negli ultimi due anni – e annuncia, tra le altre cose, di voler lasciare la politica alla fine di questa legislatura. Bondi ha 56 anni; lui e sua moglie Manuela Repetti, senatrice anche lei, lo scorso marzo hanno lasciato il gruppo di Forza Italia al Senato e si sono iscritti al gruppo misto.

«Berlusconi è stato brillante all’opposizione ma deludente se non fallimentare nell’arte di governare e nel portare a compimento quegli accordi politici che avrebbero cambiato in meglio il nostro paese. Non ha saputo esercitare, quando sarebbe stata opportuna, la sua tendenza al compromesso»

Bondi racconta tra le altre cose di come Berlusconi fosse favorevole alla scelta di dimettersi da presidente del Consiglio e sostenere il governo tecnico di Mario Monti, alla fine del 2011, sebbene successivamente lui e i suoi alleati abbiano raccontato quella decisione come frutto di un “complotto” ordito dalla Germania e dalle istituzioni europee. La situazione economica italiana era così precaria che Berlusconi decise di dimettersi per tutelare innanzitutto le sue aziende, dice Bondi.

Lei ha sperato consapevolmente in una utopia politica berlusconiana?
“Sì, e non ero il solo. Ma di tutte queste cose Berlusconi non si curò mai. Ci lasciava giocare con la politica e con le idee, fino a che non toccavamo la sostanza dei suoi interessi e del suo potere. Ricordo che, quando ero ministro, osai parlare di un canale televisivo pubblico dedicato alla cultura senza pubblicità. Subito, il pur mite Fedele Confalonieri mi redarguì bruscamente”.

Le aziende venivano prima di tutto?
“Sempre. Al culmine della crisi del suo ultimo governo, Berlusconi, nonostante ciò che disse in seguito, diede il via libera a Monti durante una riunione a Palazzo Grazioli nel corso della quale ci fece preliminarmente ascoltare in viva voce ciò che ne pensavano Ennio Doris di Mediolanum e l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel. In questo modo eravamo messi sull’avviso della sua decisione”.

Ricorda quelle telefonate?
“Molto bene. Entrambi sostennero che la situazione economica e finanziaria del paese era disperata e non vi era altra possibilità che quella di dare vita a un governo tecnico sostenuto anche da Forza Italia”.

Sta dicendo che i dirigenti e i ministri del partito non contavano nulla o perlomeno molto meno dei banchieri?
“La nostra autonomia politica era pari a zero. L’unico ad aver avuto la forza e il coraggio di un gesto di indipendenza è stato Angelino Alfano. All’epoca mi opposi a lui, nonostante l’amicizia che ci legava, per l’ennesimo atto di sottomissione a Berlusconi. Pure Fitto e Verdini furono in prima linea contro la scelta di Alfano, ma poco dopo Berlusconi li trattò alla stessa stregua. Mi creda, anche chi è rimasto prima o poi sopporterà questa sorte”.

In una pletora di ominicchi lei dipinge Alfano come una sorta di eroe. E’ il cantore che dorme in fondo al suo animo a guidarla in maniera quasi pavloviana?
“La mia convinzione è che anche Alfano, se non fosse stato maltrattato pubblicamente, avrebbe chinato il capo un’altra volta, ma Berlusconi in realtà non gli diede appello. L’intimazione di uscire dal governo Letta, come risposta alla sua condanna giudiziaria, avrebbe gettato l’Italia nel caos politico, favorendo probabilmente ancor più l’ascesa di Grillo e del suo movimento. Nell’occasione il ruolo di Napolitano è stato fondamentale. E’ stato lui a guidare l’Italia verso l’uscita dalla crisi. Berlusconi lo ha pregato di restare al Quirinale salvo poi accusarlo di ogni misfatto. Ha richiesto a Napolitano quello che non poteva ottenere e ha rifiutato ciò che invece il Presidente era disposto a riconoscergli”.

Ma poi c’è stato il patto del Nazareno.
“Merito di Verdini, che ha aiutato Berlusconi a rientrare in gioco, ottenendo da Renzi un riconoscimento politico non scontato e dovuto. Silvio avrebbe potuto utilizzare quest’ultimo attestato come un’opportunità per lasciare una memoria positiva del suo ruolo nella storia d’Italia, ma l’ha rifiutata e sprecata. Ad un certo punto ho anche pensato che il ritorno del partito-azienda fosse il male minore, perché almeno le sue imprese inseguono una certa razionalità anche nella sfera politica. Oggi Forza Italia è incomprensibile per chi non conosca la vita privata di Berlusconi. Più che la politica, la letteratura e forse la psicologia possono dare un’interpretazione alla sua parabola esistenziale”.