Quello che la scienza non sa sulla menopausa

Quasi tutto, nonostante sia una condizione comunissima: a cominciare dai metodi per trattarla, su cui anche i medici dicono cose contraddittorie

di Giulia Siviero – @glsiviero

(INDRANIL MUKHERJEE/AFP/Getty Images)
(INDRANIL MUKHERJEE/AFP/Getty Images)

Ci sono diverse cose che la scienza non sa della menopausa, ancora oggi: a cosa serve, come funziona e, soprattutto, qual è il modo migliore per trattarla. Sulla menopausa, poi, circolano da sempre credenze, preconcetti e profonde disattenzioni che hanno a che fare con un certo modo di concepire il corpo delle donne: la menopausa non è una malattia, tanto per cominciare, anche se ci sono dei sintomi, ma è allo stesso tempo un evento sottovalutato e trascurato.

Che cos’è?
La menopausa è uno dei principali cambiamenti fisiologici nella vita di una donna: non solo perché segna la fine del periodo riproduttivo, ma anche perché i mutamenti ormonali che la accompagnano hanno conseguenze significative sull’apparato osteo-articolare, su quello cardio-vascolare e sulle condizioni di salute in generale. Nelle definizioni mediche, la menopausa è un fatto biologico che a un certo punto accade nella vita di una donna «per un complesso e ancora in gran parte sconosciuto insieme di fattori genetici, ormonali e ambientali», si dice su Nature, una delle più importanti riviste scientifiche al mondo. Concretamente, le ovaie iniziano a secernere meno estrogeni, i principali ormoni femminili. Ci sono tre principali tipologie di menopausa: precoce, quando la donna ha meno di 45 anni; fisiologica, dai 45 ai 55 anni; tardiva, se la donna ha più di 55 anni. Poi ci sono i casi specifici, per esempio quelli delle donne che soffrono di endometriosi: quando il tessuto che riveste la parete interna dell’utero, l’endometrio, si sviluppa in altri organi, si induce una menopausa artificiale e temporanea.

La definizione della menopausa non si esaurisce però alla sua medicalizzazione, nonostante questa sia la tendenza generale. Esiste ovviamente un fenomeno biologico a partire da una certa età – la fine della funzione riproduttiva femminile – ma la menopausa non è riducibile a questo: è un passaggio (segna la fine di un ciclo e l’inizio della vecchiaia) ed è anche un cambiamento che ha delle conseguenze sociali nella vita delle donne che la vivono e nei rapporti che queste donne hanno con le persone intorno a loro. Per esempio, la menopausa coincide solitamente con un periodo della vita in cui non si è più attive nel mercato del lavoro, in cui si modificano i rapporti con i figli, in cui ci si confronta con la perdita di autonomia dei propri genitori e in cui si devono fare i conti con i propri cambiamenti fisici e il cambiamento dell’immagine che si aveva di sé.

Breve storia della menopausa
Fino all’inizio del Diciannovesimo secolo, negli studi eruditi europei la parola menopausa non esisteva. L’espressione utilizzata era “cessazione del mestruo” o “fine delle mestruazioni”. Nel 1821 il medico francese Charles Pierre Louis de Gardenne, nella prefazione alla sua opera dedicata all’età “critica delle donne”, propose di usare la parola “ménopause” e la inserì nel titolo del libro: “De la ménopause ou de l’âge critique des femmes”.

Menopausa deriva dalle parole greche “μήν” (genitivo μηνός) che vuol dire “mese”, e “παὒσις”, che significa “cessazione”. Prima in Francia e poi in altri paesi, la parola menopausa ha sostituito progressivamente le altre espressioni. Il termine si è poi imposto nella letteratura biomedica occidentale a partire da una mancanza: quella di ormoni. Nel Ventesimo secolo la menopausa diventa quindi una condizione patologica, determinata da un insieme ancora piuttosto confuso di sintomi e disturbi.

Perché?
La menopausa riguarda diversi mammiferi, ma è decisamente considerata una caratteristica umana.

Una delle tante spiegazioni che sono state date sulla menopausa ha a che fare con la cosiddetta “ipotesi della nonna” formulata da George Christopher Williams, un biologo evoluzionista statunitense. L’ipotesi della nonna sostiene che la menopausa è nata da un adattamento della specie: le femmine umane a un certo punto della loro vita diventano disponibili a fare le nonne e quindi vivono oltre i loro anni riproduttivi per potersi occupare di figli e nipoti. Per le donne, inoltre, il parto senza un aiuto sarebbe estremamente difficoltoso, ecco quindi l’utilità delle femmine più anziane. Dal punto di vista evolutivo, a un certo punto sarebbe diventato vantaggioso per le donne separare la fase della riproduzione da quella della cura: la menopausa sarebbe una delle tante strategie di conservazione della specie messa a punto nel corso della nostra evoluzione.

Craig Packer del Department of Ecology, Evolution and Behavior dell’Università del Minnesota ha confutato l’ipotesi della nonna. Studiando leoni e babbuini, comunità complesse in cui alle femmine sono assegnati dei ruoli attivi, ha concluso che non ci sarebbe alcun vantaggio nell’avere una nonna che non fa più figli, eppure ci sono. Packer sostiene che questo valga anche per gli esseri umani: la menopausa sarebbe semplicemente un effetto dell’invecchiamento, così come la comparsa delle rughe o dei capelli bianchi.

Ancora un po’ di storia: i pregiudizi sulla menopausa
I principali pregiudizi sulla menopausa – ma anche alcune delle loro spiegazioni – hanno a che fare con la riduzione della donna al solo ruolo di procreatrice.

Nella fisiologia pre-scentifica la menopausa in quanto cessazione delle mestruazioni veniva associata a un fenomeno altrettanto ricco di fantasiose spiegazioni e teorie, in cui sociologia e biologia marciavano insieme. Nel Tredicesimo secolo il frate domenicano Albert Le Grand, nell’opera “De secretis mulierum” (“I segreti delle donne”), un testo diffuso e letto per secoli in tutta Europa, scriveva che il sangue mestruale serviva a espellere le tossine che derivavano dalla digestione (già nel Levitico – Bibbia, Antico Testamento – si parlava dello stato di contaminazione e impurità della donna causato dal ciclo mestruale). Durante la menopausa, scriveva Albert Le Grand, questo sangue restava all’interno del corpo delle donne con conseguenze gravissime:

«Se le vecchie donne che hanno ancora le mestruazioni guardano dei bambini dormire in culla, trasmettono loro del veleno col solo loro sguardo. Ci si domanda anche da dove venga la credenza che le vecchie senza più mestruazioni avvelenino i bambini. Si risponde che la ritenzione del sangue mestruale comporta molti cattivi umori e che quelle donne, ormai anziane, non hanno quasi più quel calore naturale che permette loro di consumarlo e digerirlo, e soprattutto ciò riguarda le donne povere che consumando solo carne di cattiva qualità ne sono danneggiate: queste sono più velenose delle altre».

Più o meno questo è il registro mantenuto dalla discussione sulla menopausa fino al Diciottesimo secolo. Per lungo tempo, inoltre, la malattia mentale e le turbe psichiche delle donne sono state ampiamente attribuite a “problemi uterini”. Nel corso della storia le donne in menopausa o post-menopausa sono state considerate asessuate, bisbetiche, pericolose, isteriche, inutili e così via.

Liberarsi di queste credenze è stato reso complicato anche dalla difficoltà di parlare di menopausa, un argomento considerato a lungo qualcosa di cui non stava bene discutere. Nel 1948 l’ostetrica Josephine Barnes tenne una serie di conversazioni sulla salute delle donne alla radio della BBC: parlò di ovaie, mestruazioni e cambiamenti ormonali. Secondo l’azienda fu un disastro: il caposervizio della BBC disse che questo genere di discorsi rappresentava un abbassamento degli standard delle trasmissioni. «È profondamente imbarazzante sentir parlare di vampate di calore, malattie delle ovaie e della possibilità di rimuovere l’utero alle due del pomeriggio».

L’imbarazzo resiste ancora: nel Regno Unito circa il 75 per cento delle donne in menopausa dice di avere vampate di calore, mentre le donne giapponesi che dicono di averle sono una su dieci. Diversi esperti hanno spiegato che naturalmente anche le donne giapponesi hanno le vampate di calore, solo che non ne parlano. Nella cultura indiana dei Rajput, uno dei maggiori gruppi della casta induista Kshatriya, la menopausa viene vissuta invece come una liberazione che permette alle donne di togliersi i veli e mescolarsi con gli uomini. Ci sono diversi studi recenti che dimostrano il mancato riconoscimento delle difficoltà legate alla menopausa sui luoghi di lavoro e che parlano di una percentuale piuttosto alta di donne – il 10 per cento nel Regno Unito – che durante la menopausa scelgono di abbandonarlo.

Uno degli ambiti in cui i discorsi sulla menopausa sono molto frequenti ha a che fare con il senso comune e la comicità (spesso a sfondo sessista). Il comico statunitense Jeff Allen in un celebre sketch dice, per esempio: «Mia moglie è entrata in menopausa. Ci sono giorni in cui mi stendo a letto e sogno i bei vecchi tempi della sindrome premestruale».

Diagnosi e sintomi: che fare? 
La giornalista e scrittrice Rose George ha scritto sul Guardian un lungo e documentato articolo sulla menopausa e sulle difficoltà delle donne di orientarsi per curarne sintomi e conseguenze. Rose George parte da sé, raccontando che nel corso della sua vita le è stata indotta chimicamente una menopausa per curare l’endometriosi, che ha affrontato per un certo periodo una terapia ormonale sostitutiva e che attualmente è in peri-menopausa (il periodo che precede la menopausa). George racconta anche di aver avuto a che fare con diversi medici e specialisti, che non sempre le hanno saputo dare delle corrette spiegazioni e cure.

Gli estrogeni sono coinvolti in varie funzioni corporee; i recettori degli estrogeni si trovano nelle cellule di tutto il corpo. Le fluttuazioni ormonali della peri-menopausa e della menopausa producono quindi effetti molto evidenti e di cui si possono trovare ampi elenchi: vampate di calore, deficit cognitivo, colon irritabile, nausea, dolori alle articolazioni, screpolature o problemi alla pelle, depressione, atrofia vaginale e secchezza, calo del desiderio sessuale, perdita di memoria, disturbi del sonno, osteoporosi e molto altro ancora.

«Naturalmente il corpo di ciascuna donna reagisce in modo diverso alle variazioni dei livelli di estrogeni», dice George, «ma arrivare a una diagnosi certa di menopausa è estremamente difficile» e spesso non viene riconosciuta. L’indicatore più sicuro per determinare la menopausa è infatti al momento l’assenza di mestruazioni, cioè la perdita della “funzione ovarica”. La giornalista dice di aver partecipato al convegno annuale della British Menopause Society (BMS), dove ha imparato molte cose. Soprattutto due: che alle donne possono essere prescritti rimedi piuttosto grossolani contro i sintomi della menopausa e che una condizione che colpisce personalmente più della metà della popolazione «è tristemente trascurata». La mancanza di attenzione per la menopausa e la salute delle donne in generale hanno sempre reso la vita difficile alle donne in menopausa. Dai primi anni 2000 lo è ancora di più, per una complicata vicenda – accademica e industriale – legata ai farmaci per alleviare i disagi durante la menopausa.

Fino al 2002, infatti, alle donne in menopausa che si rivolgevano a un medico veniva consigliata una terapia ormonale sostitutiva. La terapia ormonale sostitutiva è basata sull’idea che il trattamento possa prevenire non solo i disagi dovuti alla menopausa ma anche una serie di malattie. Si tratta di un trattamento farmacologico a base di ormoni, estrogeni da soli o associati a progestinici, prodotti normalmente dall’organismo femminile, in particolare dalle ovaie. Negli Stati Uniti la terapia ormonale sostitutiva più comune era una miscela di estrogeni venduti con il marchio Premarin e ottenuti dalle urine delle cavalle gravide (il nome del farmaco deriva dall’abbreviazione di “pregnant mares”). Intorno alla metà degli anni 1970 il Premarin è stato il quinto farmaco più prescritto del paese.

Poi, nel luglio del 2002, furono pubblicati i risultati della ricerca Women’s Health Initiative Study (WHI), avviata nel 1991 negli Stati Uniti su 27.347 donne di età compresa tra i 50 e i 79 anni sottoposte a una terapia ormonale sostitutiva. I risultati furono inaspettati, soprattutto nei casi di cura combinata (estrogeno e progestinico): conclusero che c’era una relazione tra terapia ormonale sostitutiva e cancro alla mammella. Lo studio fu interrotto dopo poco più di cinque anni proprio per l’aumentato rischio di carcinoma. Lo studio contribuì, anche se in modo allarmistico, a far parlare della menopausa e delle sue terapie al di fuori degli ambienti scientifici.

Un anno dopo, nel 2003, venne pubblicato un secondo studio (il cosiddetto “Million Women Study”) condotto nel Regno Unito, in cui vennero coinvolte oltre un milione di donne tra i 50 e i 64 anni per definire il rischio di carcinoma mammario in caso di terapia sostitutiva. Lo studio concluse che la terapia sostitutiva ne aumentava effettivamente il rischio, rinnovando l’allarme. Diversi comitati per la sicurezza dei farmaci inviarono comunicazioni ai medici e agli altri operatori sanitari per riportare i risultati di queste due ricerche. La conseguenza fu che le prescrizioni di terapie ormonali sostitutive crollarono, nonostante fosse stato chiarito che il problema riguardava solo un certo tipo di terapia ormonale sostitutiva a lungo termine, mentre quella a breve termine era positiva per i sintomi della menopausa. A quel punto alcuni medici e studiosi, basandosi su nuove ricerche, cominciarono a criticare apertamente i due studi, trovandosi a loro volta accusati di essere legati a qualche casa farmaceutica.

Tutto questo nel tempo ha generato molta confusione. Sul sito del Cancer Research del Regno Unito c’è scritto: «La possibilità che la terapia ormonale sostitutiva provochi alcuni tipi di cancro è alta». Sul sito della British Menopause Society si dice invece che il rischio di cancro al seno è «basso» e quello alle ovaie «non è alto in termini statistici». Negli ultimi anni hanno ricevuto attenzione anche le terapie con ormoni bioidentici (copie chimiche degli ormoni umani, ma alcuni specialisti della menopausa hanno sostenuto che la loro produzione, prescrizione o somministrazione non sia sufficientemente controllata. Dice George: «Se poi vai dal tuo medico di famiglia, tutto può succedere».

Nel marzo del 2015 Hannah Short, medico di base, ha lanciato #ChangeTheChange, una campagna per denunciare la confusione e la povertà di informazioni disponibili sulla menopausa – non solo per le donne che la vivono, ma anche per i medici. «La menopausa non era in nessuno dei miei libri di testo», ha raccontato la dottoressa a Rose George. Short ha raccontato che alle donne capita di farsi visitare da un primo medico di base ed essere sottoposte a una terapia ormonale sostitutiva, poi andare da un secondo medico e vedersi interrompere la stessa terapia; ha raccontato di un’infermiera in menopausa chirurgica che era stata trattata come un’ipocondriaca quando si era lamentata che il suo trattamento non funzionava, e di donne che si sono viste negare la prescrizione di testosterone contro il calo del desiderio sessuale.

Nel 1996 le donne in menopausa che nel Regno Unito si erano rivolte al loro medico di base erano il 18 per cento; nel 2005 questa cifra era scesa al 10 per cento. Uno studio del 2012 ha mostrato che il 60 per cento delle donne affronta da sola i sintomi della menopausa, senza alcun contatto con uno specialista e preferendo ricevere consigli da amici e familiari o cercandoli su Internet. Conclude George:

«Non credo che la menopausa sia una malattia, ma è comunque qualcosa che riguarda la mia salute. Andrò in una clinica specializzata quando le mie mestruazioni spariranno per sempre, o forse lo farò prima. Ma non so ancora se deciderò per una terapia ormonale sostitutiva. Voglio proteggere le mie ossa e il mio cuore, ma la paura residua del cancro è ancora troppo forte. Vorrei concludere con una nota positiva. Invece sono solo confusa. E se questo è quello che è successo a me, dopo mesi di letture, ricerche e colloqui con esperti, che possibilità di comprensione può avere qualcun altro?»