Salvatore Cuffaro, i carcerati e i maiali

In una lunga intervista al Fatto, l'ex presidente della Sicilia ha descritto le condizioni disumane in cui vivono i detenuti

(Mauro Scrobogna / LaPresse)
(Mauro Scrobogna / LaPresse)

Salvatore Cuffaro, ex presidente della regione Sicilia col centrodestra ed ex senatore dell’UdC, è uscito dal carcere il 13 dicembre dopo aver passato in prigione 4 anni e 10 mesi, per una condanna per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio. Al momento di entrare in carcere Cuffaro, che oggi ha 57 anni, era senatore: all’epoca il suo arresto e la sua carcerazione fecero molto clamore. In questi giorni Cuffaro ha dato una lunga intervista a Claudio Sabelli Fioretti, pubblicata dal Fatto il 18 dicembre: i passaggi più interessanti dell’intervista sono quelli in cui Cuffaro parla della vita in carcere, di cui critica soprattutto le condizioni disumane in cui vivono i detenuti.

Il carcere è un luogo di sofferenza e di morte. E il nostro è un paese strano: si preoccupa della salute dei marò, ma se ne frega di quella di migliaia di detenuti.

Il carcere non passa da mangiare?
Passa della roba schifosa, immangiabile. Tranne l’insalata. E il pollo. Il resto bisogna farselo da soli. Quando dalle cucine veniva l’odore del pesce ti si bloccava lo stomaco. E la carne sembrava chewing gum.

Dicono: il carcere non è un hotel a cinque stelle.
Il carcere dovrebbe essere un luogo di rieducazione. Invece è un luogo di sofferenza e di morte.

È esagerato.
Non è vero che in Italia non esiste la pena di morte. 150 suicidi, nelle carceri, quasi tutti ergastolani. Io di suicidi ne ho visti cinque. Di fianco alla mia cella uno si è ucciso tagliandosi contemporaneamente le due giugulari. Con le lamette Bic. Aveva l’ergastolo. Il giorno prima mi aveva detto: si suicidano perché preferiscono morire una volta sola piuttosto che tutti i giorni. Io non capii. E poi ci sono quelli che muoiono di malattia. Io stesso ho salvato da un infarto un mio compagno di cella, Santino. Se non ci fossi stato io sarebbe morto. Il nostro è un Paese strano. Si preoccupa dello stato di salute dei due marò e se ne frega di quello di migliaia di carcerati.

Immagino che le condizioni igieniche in carcere non siano delle migliori.

Ho ancora il tanfo del carcere addosso. I primi due giorni mi sono fatto 14 docce. Niente. Il tanfo rimane. Ormai ce l’ho dentro.

Avevate un bagno, in cella?

Un bagno-cucina. Un locale largo un metro in fondo al quale c’era la turca. Io con la turca ci ho parlato per cinque anni.

Che cosa diceva la turca?
La turca mi spiegava che, anche se non sembrava, era un cesso. Un giorno ero uscito per fare degli esami clinici e sono dovuto andare al gabinetto. Ho aperto la porta e ho avuto una visione. La tazza del cesso. Mi sono commosso e mi sono messo a piangere. Sedermi sulla tazza è stata una sensazione indescrivibile. Non riuscivo più ad alzarmi. Dovrebbe provare anche lei.

La turca mi spiegava che, anche se non sembrava, era un cesso. Quando ho visto un gabinetto mi sono messo a piangere.

Se posso evitare…
Sa qual è stata la prima sensazione quando sono entrato a Rebibbia?

No.
La sorpresa. Avevo paura, terrore. Il carcere per me era quello che avevo visto nei film, con gli agenti che battono col manganello sulle sbarre… Avevo paura anche a fare la doccia pensando che avrei trovato quello pronto a sodomizzarmi…

Invece…
Invece, il carcere è una comunità nella quale ci sono tante brave persone sfortunate, un luogo dove finisce soprattutto gente distrutta dalla povertà.

Non ci sono i cattivi?
Anche nelle comunità religiose ci sono i buoni e i cattivi. Ma alla fine in carcere vincono sempre i buoni. E non ci sono pregiudizi.

Per esempio?
Il giorno dopo la strage del Bataclan, i due detenuti islamici che stavano in cella con me mi hanno chiesto di pregare insieme a loro per le vittime dei terroristi. Nei giorni successivi molti altri vennero a pregare nella nostra cella. Alla fine pregavamo tutti insieme, cristiani e musulmani, in chiesa. Il carcere è un luogo dove finisce soprattutto gente distrutta dalla povertà.

Il carcere trasforma gli uomini in maiali. Per l’Europa i maiali hanno diritto a sette metri quadrati per uno. Noi ne avevamo meno di cinque in quattro.

La prigione dovrebbe essere abolita?
Che senso ha riabilitare un ergastolano?

Ci sono quelli che escono…
Nessuno trova più un lavoro. E in carcere sono riusciti solo a migliorare quello che sapevano fare prima: rubare. Vicino a me c’era un ragazzo che si era beccato cinque anni per rapina a mano armata.

Roba seria…
L’arma era una bomboletta spray al peperoncino. In carcere qualcuno gli avrà insegnato come si fanno le vere rapine, altro che peperoncino.

Alternative al carcere?
Farli lavorare, così si reinseriscono e guadagnano per restituire il maltolto, pagare le vittime…

E scappare.
Ci sono i braccialetti elettronici.

Lei avrebbe portato un braccialetto?

Certamente. Che problema c’è?