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  • Giovedì 17 dicembre 2015

Il difficile cessate il fuoco in Yemen

È iniziato martedì 15, ma negli ultimi giorni i ribelli houthi e la coalizione che li combatte si sono accusati di 150 violazioni della tregua

Un combattente di una tribù yemenita fedele agli houthi - Taiz, Yemen (AP Photo/Abdulnasser Alseddik)
Un combattente di una tribù yemenita fedele agli houthi - Taiz, Yemen (AP Photo/Abdulnasser Alseddik)

In Yemen nelle ultime ore ci sono stati diversi scontri tra i ribelli houthi e la coalizione di paesi guidati dall’Arabia Saudita, nonostante il cessate il fuoco iniziato lo scorso martedì 15 dicembre e che nelle intenzioni della parti dovrebbe proseguire fino all’inizio della prossima settimana. Le due parti si sono accusate a vicenda di averlo violato, portando a un nuovo duro confronto che potrebbe compromettere i colloqui di pace avviati in questi giorni dalle Nazioni Unite in Svizzera per risolvere la guerra civile nel paese, che prosegue ormai da nove mesi circa e ha causato la morte di migliaia di persone. I precedenti negoziati organizzati nel mese di giugno non avevano portato ad alcun risultato.

Gli houthi occupano principalmente il nord del paese, sono appoggiati dalle forze fedeli all’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh e ricevono appoggio anche dall’Iran. I territori orientali e meridionali del paese sono invece controllati dal governo dell’attuale presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, sostenuto da una coalizione internazionale che vede impegnata soprattutto l’Arabia Saudita.

Ahmed al-Assiri, uno dei generali della coalizione, ha accusato gli houthi di avere violato più volte il cessate il fuoco, costringendo le sue forze militari a rispondere agli attacchi. Assiri ha stimato che ci siano state almeno 150 violazioni e ha chiesto alle Nazioni Unite di richiamare gli houthi, chiarendo che non potranno esserci accordi di alcuni tipo se proseguiranno gli attacchi. Gli houthi accusano invece l’Arabia Saudita e i suoi alleati di avere aumentato il proprio impegno militare negli ultimi giorni “via terra, mare e aria”.

Ieri è stato eseguito uno scambio di prigionieri, che però era stato concordato in precedenza a livello locale e senza il coinvolgimento dei rappresentanti internazionali: 375 miliziani ribelli prigionieri della coalizione sono stati scambiati con 285 soldati. Dalla capitale Sana’a sono stati visti partire alcuni autobus con i prigionieri houthi, diretti verso lo Yemen centrale per lo scambio. Non ci sono molte altre notizie ufficiali sull’operazione.

Un secondo scambio era già in programma, ma i negoziati per eseguirlo non sono andati a buon fine e non se n’è fatto nulla. Avrebbe dovuto coinvolgere anche la liberazione di Mahmoud al-Subaihi, il ministro della Difesa di Hadi. Gli houthi avevano però chiesto una tregua vera e propria e la fine di tutte le ostilità per liberarlo insieme ad altri prigionieri. Le forze governative avevano risposto chiedendo che i prigionieri fossero liberati prima dell’inizio di qualsiasi negoziato.

Saleh ha governato lo Yemen per 30 anni e ha lasciato il potere solo dopo la cosiddetta “primavera araba”. I soldati che gli sono ancora fedeli appoggiano gli houthi, e sono sostenuti dall’Iran, anche se non è chiaro in cosa consista esattamente questo appoggio. Il coinvolgimento dell’Iran ha provocato la reazione di alcuni paesi del Golfo Persico, in particolare dell’Arabia Saudita, grande nemico del governo iraniano. I sauditi hanno messo insieme una coalizione di forze – tra cui Egitto, Emirati Arabi Uniti e Qatar – che ha bombardato diverse città yemenite sotto il controllo dei ribelli houthi, tra cui Sana’a, e che ha riconquistato cinque province meridionali del paese.

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