Frank Sinatra per giovani

Si può ancora cominciare ad ascoltarlo adesso, e non smettere più?

di Luca Sofri

Frank Sinatra a Pasadena con delle fan nel 1943. (AP Photo/John T. Burns)
Frank Sinatra a Pasadena con delle fan nel 1943. (AP Photo/John T. Burns)

Vi dico come andò con me, con Sinatra: che alla gran parte delle persone sotto i cinquanta “Sinatra” suona un po’ come un nome astratto, di cui si conosce il primato e poco più, come “Everest” o “Pelé”. Frensi Natra, capivo io, da ragazzino. Com’è quindi, che pur non essendo passato attraverso quell’epoca della musica, quello sfoglio di rotocalchi, quelle commedie cantate, può essere che a un certo punto tu “scopra” Frank Sinatra – negli anni Ottanta io, nel 2015 qualcun altro – e ti renda conto che non è una cosa anacronistica da nostalgici, come molte altre cose noiosissime che hanno cercato di gabellarti fino a quel momento, ma ti faccia ascoltare rapito Sinatra per decenni, fino a oggi che è addirittura un secolo da quando nacque, Sinatra?

Vi dico come andò con me. Ero a casa di un mio compagno di liceo: sua madre faceva l’insegnante, e quel pomeriggio dovettero uscire un’ora per qualche ragione imprevista, e mi lasciarono ad aspettarli nel loro soggiorno dove stavamo forse studiando (forse). Nell’attesa mi misi a guardare i dischi nel mobiletto dello stereo, uno di quelli alti alti, a torre, con gli elementi Akai, o Technichs, quelle cose di un’epoca in mezzo tra ora e Sinatra. E trovai questo “cofanetto”, sbrindellato sugli spigoli, una raccolta di credo sei dischi di Sinatra. Ero in un periodo che certe ragazze mi avevano fatto ascoltare delle cose di jazz, e per servilismo della gleba me ne ero incuriosito, quindi ero ben disposto nei confronti “della roba vecchia”.

E quindi accesi tutti gli on/off dello stereo, tirai fuori un disco a caso dalla busta, lo misi sul piatto, ci passai sopra il pannetto – che non era roba mia – e appoggiai la puntina. E uscì fuori questa cosa qui.

Forse nel ricordo la sto facendo un po’ cinematografica: forse non uscì proprio subito questa cosa qui, ma un’altra. Io però questa cosa qui, accogliente, paradisiaca, facile, come cantata senza nessuno sforzo, mi ricordo di averla ascoltata quel giorno lì. E poi ne ascoltai una montagna di altre, che il mio amico e sua madre tardarono, girando i dischi e tirando fuori le altre buste.
E il giorno dopo tornai a casa del mio amico con una TDK, e mi registrai 90 minuti di canzoni di Sinatra.

Certo, mi dico oggi: bisognava essere in quel mood. C’entravano pure quelle famose ragazze, forse. E poi è una fase di qualunque adolescenza la ricerca di originalità in cose di altri tempi, diverse da quelle contemporanee (che io ascoltavo tutte, peraltro). Comunque, poi successe un’altra cosa: l’avevo scritta qui, torna buona in questa storia e la aggiungo qui sotto, anche se un po’ mi ripeto. Sono passati altri trent’anni, io sto ancora sentendo Sinatra – e non solo “My way” e “Strangers in the night” , spero anche qualcuno di voi.

Il posto si chiamava ancora Palatrussardi e tra il pubblico c’era Bettino Craxi. Ora sono morti tutti: Trussardi, Craxi, e Sinatra. Quella del 27 settembre 1986 fu una serata televisiva memorabile, con la diretta del primo concerto italiano di Frank Sinatra dopo venticinque anni di assenza. Aveva 71 anni e lo videro in otto milioni di telespettatori. Tra cui io, che ho ancora la cassetta TDK registrata con collegamenti di cavi che allora mi sembrarono prodigiosi. Avevo vent’anni e questo dettaglio personale basterebbe a spiegare la grandezza di Sinatra: nessun altro settantenne con un repertorio risalente ad almeno un quarto di secolo prima sarebbe stato in grado di appassionarmi, a vent’anni. Ascoltavo i Simple Minds e la house music, nel 1986. E Sinatra. Canticchiavo “Cheek to cheek” come l’avevo sentita da lui (incastrando “right up to!” prima di “heaven!”), imitavo il suo modo di ripetere le effe in “I get a kick out of you”, mi compiacevo del modo in cui in “Softly as I leave you” sembrava dire “I will leave you, Sofri”. E poi quell’idea fantastica e molto Sinatra (un anticipo di “My way”) di scriversi una lettera d’amore da solo:

Mi scriverò delle cose così dolci che ci resterò di stucco, e un sacco di baci in fondo: come sarò contento di riceverla!

Per non parlare di “Volami sulla luna e lascia che giochi tra le stelle”, una delle migliori canzoni da doccia di tutti i tempi. Dovrebbero insegnarlo nelle scuole, Sinatra. Era figlio di un pompiere siciliano e di una levatrice ligure. Speriamo che la Rai rimandi quel concerto.