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  • Venerdì 11 dicembre 2015

Cosa facciamo se entriamo davvero in guerra

Per prima cosa domandiamo «Chi, io?»: ne scrive Giuseppe De Rita sul Corriere, riflettendo sull'idea di comunità degli italiani in tempi difficili

Un militare italiano di fronte al Colosseo, a Roma
25 novembre 2015
(FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Un militare italiano di fronte al Colosseo, a Roma 25 novembre 2015 (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Il sociologo Giuseppe De Rita riflette venerdì sull’attitudine degli italiani rispetto a un possibile impegno militare dell’Italia in una guerra, riprendendo temi su cui ha lavorato molto relativi all’identità del paese e alla partecipazione alle sue scelte in quanto comunità. Se l’Italia dovesse partecipare a una guerra, conclude De Rita, ci sarebbe da lavorare molto sulla preparazione culturale ancora prima che su quella militare.

«Siamo in guerra». «Chi, io?». Se qualcuno volesse capire come l’italiano medio viva l’attuale drammatica congiuntura internazionale troverebbe la risposta più confacente proprio in quell’interrogativo, che ben riassume una radicata estraneità alle tensioni belliche.
C’è tutto l’italiano d’oggi, antico e postmoderno insieme, in quel dichiarare «non mi compete». C’è la quasi ingenua ammissione di non essere adeguatamente pugnace; c’è l’antica prudenza di star lontano, se possibile, dalla linea del fuoco; c’è la sottintesa cinica propensione al «se posso, svicolo»; c’è l’abitudine ad allontanare l’angoscia e il ricatto di chi fa dell’angoscia un’arma di guerra; c’è l’implicito trincerarsi nella quotidianità e nella costanza degli stili di vita; c’è la constatazione che è quasi impossibile decifrare e capire la complessità di quel che sta avvenendo; c’è la resistenza a farsi trascinare dalle altrui pulsioni (tutti ricordano che facemmo male a seguire Bush in Iraq e Sarkozy in Libia); e c’è in fondo un antico fatalismo verso gli eventi che non si possono dominare, magari con la riscoperta di un po’ di impaurita devozione creaturale (quante preghiere e quanti ex voto hanno costellato la nostra vita collettiva, dal ’40 al ’45!).
Essere o non essere una nazione solida e determinata. Questo è sempre stato il nostro dilemma, cui si può attribuire la frequente non eroica resistenza al «prendere armi contro un mare di guai e, combattendo, por fine ad essi».

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