Billy Idol ha 60 anni

E quindi è il giorno giusto per riascoltare le sue otto migliori canzoni, scelte da Luca Sofri

Billy Idol fotografato durante un concerto: la foto è del 1985 (Hulton Archive/Getty Images)
Billy Idol fotografato durante un concerto: la foto è del 1985 (Hulton Archive/Getty Images)

Billy Idol nacque – con un altro nome – il 30 novembre 1955 a Stanmore, nel Middlesex, e oggi compie 60 anni. Diventò famoso negli anni Settanta con la band punk rock Generation X, fondata insieme a Tony James. Poi continuò da solo, trasferendosi negli Stati Uniti, dove cominciò a suonare con il chitarrista Steve Stevens e dove i suoi video trasmessi da MTV contribuirono molto al suo successo. Queste sono le otto canzoni che Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha scelto per il suo libro Playlist.

Billy Idol (1955, Middlesex, Inghilterra)
Come trasformare una voce aggressiva, una smorfia cattiva e i capelli dritti in testa, da divisa punk a prodotto di successo pop mondiale. Partì emulo dei Sex Pistols e finì in cima alle classifiche di tutto il pianeta, ma soprattutto di quelle americane (veniva dal Middlesex). Gli piacque abbastanza, ci marciò un po’ e poi sparì nel quasi nulla. Ogni tanto recita in un film, e ha fatto un disco passato inosservato ancora nel 2014.

White wedding
(Billy Idol, 1982)
Primo grande successo. Aveva già quell’accrocchio di rock chitarroso e accenni elettronici che funzionò per tutte le sue cose successive. Lei gli ha dato buca, e lui le manda a dire che se ne frega e anzi sai che c’è? “È un buon giorno per ricominciare, magari con un matrimonio in bianco”. La rispolverarono per un film con Adam Sandler (il cui mediocre titolo italiano ci si rifiuta qui di trascrivere), in cui Idol recitò pure.

Hot in the city
(Billy Idol, 1982)
Da che esiste MTV, la discografia ha riscoperto le pin-up, in versione moderna. In realtà le Bananarama e le Coconuts di Kid Creole già andavano in questo senso, ma avevano il limite che per mostrarle bisognava farle cantare. Mentre con i videoclip si possono mettere belle ragazze discinte anche assieme alle canzoni di Bruno Lauzi, in teoria. Tra quelli che ci hanno lavorato di più da subito, i Duran Duran, gli Aerosmith, David Lee Roth (poi sono arrivati i rappers) e Billy Idol, che qui riporta anche nella canzone un’aria da estate e belle ragazze a cominciare dall’inebriante “stranger” iniziale.

Rebel yell
(Rebel yell, 1984)
Il fatto che lei gridi “ancora, ancora, ancora” potrebbe già insospettire i più maliziosi. Il fatto che lo faccia a mezzanotte, dovrebbe chiudere la questione. È perché lo faccia con un “urlo ribelle” a non essere chiaro: ribelle a che? Lui si era stufato?

Eyes without a face
(Rebel yell, 1984)
Il colpo di una vita. Fai una cosa così e ti sistemi tu, e tutta la tua famiglia (ad avercela). Una spanna sopra ai pur onesti successi del resto della sua carriera, è una ballatona perfetta – farcita di un passaggio rock-rap da antologia – che non si scollerà dalla programmazione radiofonica per altri mille anni.
(Il titolo è quello di un vecchio e inquietante film francese – Les yeux sans visage, come canta il coro – che raccontava davvero di un’incidente che aveva privato del volto la figlia del chirurgo protagonista, che cercava di ricostruirlo uccidendo altre avvenenti ragazze; nel caso della canzone, siamo sul metaforico sentimentale, invece).

Catch my fall
(Rebel yell, 1984)
Da ragazzi, che si era un po’ cretini, un po’ ignoranti, e un po’ allupati, si pretendeva che l’espressione del titolo potesse alludere a qualcosa di fallocratico. Ma detto questo, è notevole il tono tenebroso con cui attacca la strofa, prima di scatenarsi nel refrain, fallocratico.

Flesh for fantasy
(Rebel yell, 1984)
Attaccone di chitarra chitarra chitarra, a cui segue una pausa sfrontata e geniale: la via rock per le piste da ballo dell’epoca, grazie al giro funkeggiante in sottofondo.

Sweet sixteen
(Whiplash smile, 1986)
Qui si era messo in testa di essere Elvis, o forse semplicemente Chris Isaak. Ma non gli venne male, soprattutto grazie allo strimpellar di corde del fidato Steve Stevens.

To be a lover
(Whiplash smile, 1986)
Booker T. Jones sapeva suonare qualsiasi cosa già a scuola. Diventò uno dei personaggi più importanti dell’epoca d’oro del soul, sia come autore, produttore e collaboratore di altre star del soul, sia come interprete (con il nome di Booker T and the MGs, assieme a musicisti che poi sarebbero finiti nei Blues Brothers). Questa l’aveva scritta lui.