Adele e la musica in streaming

Il suo nuovo disco sta vendendo tantissimo anche perché non è su Spotify o altri servizi simili: è una scelta che paga solo nel breve termine, spiega il New Yorker

(Wikimedia)
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Il 20 novembre è uscito in tutto il mondo 25, il nuovo disco di Adele; il terzo, dopo 19 e 21 (in tutti e tre i casi, il numero è l’età che Adele aveva quando ha iniziato a lavorare alle canzoni). Non è ancora passata una settimana dalla sua uscita e 25 ha già venduto circa due milioni e mezzo di copie negli Stati Uniti: è diventato il disco che nella storia ha venduto più copie nella sua prima settimana in America (il mercato musicale più grande). C’è solo da vedere quanto meglio farà di No Strings Attached degli NSYNC, che nella sua prima settimana aveva venduto nel 2000 circa 2 milioni e 400mila copie. Nel 2000 esisteva Napster ma non esistevano però Spotify, Apple Music e tutti i servizi legali – gratis o a pagamento – per l’ascolto di musica in streaming che non prevedono l’acquisto di un disco. Il record di Adele si spiega anche con il fatto che – per scelta sua e della sua casa discografica – 25 non è disponibile su Spotify, su Apple Music e molti altri servizi simili. Chi ha voluto ascoltare il disco in modo legale ha dovuto comprarlo.

John Seabrook ha scritto sul New Yorker che l’assenza di 25 dai software per l’ascolto di musica in streaming è, economicamente, un grande vantaggio per Adele e per la sua casa discografica, la Columbia, di proprietà della Sony: guadagnerebbero anche grazie agli ascolti in streaming, ma di meno. Seabrook scrive che per l’industria discografica il successo di 25 è un ritorno alla fine degli anni Novanta, un periodo di grandi guadagni, precedente all’arrivo della musica in streaming e di Napster, creato nel 1999. Il problema, spiega Seabrook, è che pochissimi artisti possono permettersi di snobbare lo streaming, diffondere i loro dischi in modo “tradizionale” e venderne comunque molti. Una è Adele, l’altra è Taylor Swift: due cantanti che, non a caso, hanno entrambe scelto di non mettere la loro musica su Spotify.

Secondo Seabrook, «le vendite di dischi fanno guadagnare, ma non sono il futuro della musica. Il futuro è lo streaming». Secondo lui le case discografiche di Adele e Taylor Swift stanno scegliendo il profitto a breve termine anziché una crescita a lungo termine: stanno sfruttando le ultime possibilità di grande guadagno garantite dalla vendita dei dischi, senza preoccuparsi di costruire un modello di business sostenibile, basato sugli ascolti in streaming. È quello che l’industria musicale ha già fatto nel 2001, spiega Seabrook: Napster poteva diventare un suo partner tecnologico, l’industria musicale ha preferito farlo chiudere.

Seabrook è molto critico nei confronti della scelta di Adele: ne capisce e ne spiega l’efficacia economica, non ne condivide l’idea di base. Scegliendo di non mettere il suo disco a disposizione dei servizi in streaming, Adele obbliga chi paga per usare quei servizi in streaming a fare una scelta: pagare per un disco (nonostante il loro abbonamento gli consenta di ascoltare quasi ogni altro disco tranne quello) o aspettare – magari mesi – che, una volta finite le vendite delle copie fisiche, quel disco arrivi finalmente sui servizi di streaming. Seabrook spiega che a suo modo di vedere una soluzione esiste: anziché rifiutare del tutto lo streaming, 25 di Adele sarebbe potuto essere messo a disposizione degli utenti premium di servizi come Spotify, quelli che pagano una decina di euro al mese per ascoltare tutta la musica, senza pubblicità.

Secondo Seabrook sarebbe stato un grande incentivo per far passare molti utenti dalla versione gratuita a quella a pagamento. Spotify sarebbe diventata più ricca e avrebbe avuto più soldi da dare agli artisti (non solo ad Adele). In questo modo Adele, i servizi per la musica in streaming e l’industria discografica in generale ne avrebbero guadagnato. Con la scelta di Adele, l’unica ad aver “vinto” è invece Adele.