Chi ha inventato il logo “Parental Advisory”?

Fu un'iniziativa delle mogli di alcuni importanti politici e imprenditori americani: è una storia strana e poco nota, che a un certo punto portò Frank Zappa al Senato

Il logo Parental Advisory – “avvertenza per i genitori”, in italiano – compare da vent’anni sui dischi statunitensi che si ritiene contengano riferimenti espliciti a sesso, violenza, attività criminali e consumo di alcol e droghe. Oltre a segnalare contenuti ritenuti non adatti a bambini, il Parental Advisory – il cui nome è PAL, Parental Advisory Label (“etichetta”, in inglese) – è diventato nel tempo una parte importante della musica e della cultura statunitense: il suo logo – con scritte in bianco e nero su sfondo rispettivamente nero e bianco – è famosissimo anche in Italia, e diffuso oltre il suo uso di base. Per esempio è il titolo di una nota canzone del rapper Jay Rock ed è presente su moltissimi capi d’abbigliamento. È praticamente impossibile non averlo mai visto, anche senza averlo mai avuto in mano un disco che lo avesse sopra. La storia di come è nato è invece poco nota, oltre che piuttosto particolare.

Il sito NPR spiega che il Parental Advisory è oggi ancora in uso, anche in servizi di vario tipo che offrono brani o video musicali online, Vimeo per esempio. A scegliere se mettere o no il loro Parental Adivsory – accompagnato dalla scritta Explicit Content, “contenuti espliciti” – sono gli artisti che fanno i dischi e le case discografiche che li vendono. Il logo ha ormai perso la sua originaria funzione di “avvertenza” e nella pratica comune è oggi più che altro un simbolo, quasi un segno di riferimento che serve a spiegare che quel disco è interessante, alternativo, esplicito. Urban Dictionary – un sito umoristico che spiega il significato di molte parole e modi di dire gergali degli Stati Uniti – usa queste definizioni per spiegare a cosa serve l’etichetta Parental Advisory oggi: «È un disegno pubblicitario indirizzato ai bambini e agli adolescenti, un adesivo che i ragazzini pensano sia così figo da volere sugli album che ascoltano, un logo che spiega ai ragazzi di non ascoltare quella musica con i loro genitori, il modo per distinguere la musica rap dalla buona musica».

Oggi il Parental Advisory – spesso associato alla musica rap e hip-hop – è generalmente visto come qualcosa che aiuta a vendere di più. Quando è nato negli anni Ottanta era visto però come un oggetto pericoloso e di censura, che creò una forte contrapposizione tra l’associazione di genitori che lo promosse e i cantanti e musicisti che vi si opposero.

La storia che portò al logo Parental Advisory iniziò da una lettera che nel 1984 la Parental-Teacher Association un’associazione di genitori e insegnanti – inviò alla RIAA, l’associazione delle case discografiche statunitensi, e ad alcune tra le principali case discografiche. La lettera non portò a nulla ma servì a far parlare della questione. Negli ultimi mesi del 1984 Mary Elizabeth Gore – la moglie dell’allora deputato statunitense Al Gore – dopo aver ascoltato la canzone Darling Nikki di Prince si fece promotrice di un movimento d’opinione che convincesse artisti e discografici a informare chi intendeva comprare un disco riguardo a eventuali contenuti espliciti. Darling Nikki parla per esempio di una ragazza, di cui Prince dice: «La incontrai nell’atrio di un albergo, mentre si masturbava con una rivista». Per avere un riferimento italiano: Albachiara di Vasco Rossi, però più esplicito.

Elizabeth Gore – nota come “Tipper” Gore, un soprannome datole da sua madre – riuscì a convincere altre mogli di importanti politici e imprenditori statunitensi a unirsi alla sua iniziativa: nel 1985 nacque così la PMRC, il “centro musicale d’informazione per genitori”. Tra le prime cose che fece il PMRC c’è una famosa lista di 15 canzoni ritenute esemplificative del deterioramento dei testi musicali di quegli anni. A ogni canzone venne associato anche il tipo di contenuto offensivo: molto sesso, molta violenza, un po’ di riferimenti alle droghe e due riferimenti alla masturbazione, nella canzone di Prince e in She-Bop di Cindy Lauper. La lista divenne nota come quella dei “Filthy Fifteen”, gli “sporchi 15”. “Filthy” può in realtà voler dire molte cose, non molto belle: sudicio, lercio, turpe, sconcio. Tra le 15 canzoni c’erano Eat Me Alive dei Judas Priest, Dress You Up di Madonna e Trashed dei Black Sabbath.

Alla pubblicazione della lista seguì, nel settembre del 1985, una famosa audizione presso il Senato degli Stati Uniti. Vi presero parte alcuni rappresentanti del PMRC e alcuni famosi artisti e musicisti, tra cui il cantante Frank Zappa e il cantante country John Denver. Zappa iniziò dicendo di volersi rivolgere alla stampa estera per spiegare di cosa si stava discutendo: lesse il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, quello sulla libertà d’espressione. Zappa fu molto duro con il PMRC e disse anche: «Se andiamo avanti così, quanto ci vorrà prima che agli artisti venga imposto di indossare al braccio una fascia con l’avvertenza del PMRC, scritta in caratteri rossi?». Dopo Zappa parlarono altri artisti, nessuno usò però toni simili ai suoi.

Pochi mesi dopo l’audizione al Senato la RIAA decise in modo autonomo di accettare in parte le proposte del PMRC e nacque così l’etichetta Parental Advisory: all’inizio era diversa ed era seguita dalla scritta “Explicit Lyrics”, “testi espliciti”, diventato nel 1996 “Explicit Content”. Il PMRC richiedeva l’obbligo del logo e voleva che vi fossero associate delle sigle per spiegare il tipo di contenuti: sessuali, violenti od occulti, per esempio. La RIAA non accettò. Il Parental Advisory fu fin da subito su base volontaria – e quindi oggettivamente piuttosto lontano dal poter essere considerato censura – molti artisti continuarono però per molto tempo a parlarne male, chiamandolo tra l’altro “Tipper Sticker”: l’etichetta adesiva di Tipper, con riferimento al soprannome di Elizabeth Gore.

Il sito Ratter ha intervistato poche settimane fa Susan Baker, moglie dell’ex segretario di Stato James Baker e al tempo promotrice del PMRC insieme a Gore. Alla domanda «ci sono canzoni di oggi che metteresti in una nuova Filthy Fifteen?» Baker ha risposto: «Va sempre peggio. Devo però confessare che non ascolto più quella roba. Ma lo giuro, se lo facessi: è sempre peggio. Il rap e l’hip-hop possono essere terribili. Hanno cose che… lo sapete, quei discorsi razzisti, le cose sessuali e violente. Penso sia davvero triste».