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  • Giovedì 19 novembre 2015

Come l’ISIS guadagna dal petrolio

Lo vende prima di raffinarlo, oppure lo raffina in rudimentali impianti locali per smerciarlo nei mercati in Siria e in Iraq (incassando 1,5 milioni di dollari al giorno)

Le forze di sicurezza irachene alla raffineria di petrolio di Beiji, in Iraq. (AP Photo)
Le forze di sicurezza irachene alla raffineria di petrolio di Beiji, in Iraq. (AP Photo)

Un’approfondita inchiesta sullo sfruttamento del petrolio da parte dell’ISIS in Siria e Iraqè stata pubblicata ad ottobre dal Financial Times. Il petrolio è la prima fonte di entrate per l’ISIS – si parla di circa 1,5 milioni di dollari al giorno – e per diverso tempo molti analisti si sono chiesti come i miliziani dello Stato Islamico avessero ottenuto la tecnologia per estrarlo e raffinarlo, e soprattutto chi fossero i compratori. La questione è ancora più attuale oggi, visto che governi, analisti e osservatori discutono di come si possa sconfiggere l’ISIS, visto che le soluzioni messe in pratica finora sembrano non essere state efficaci.

L’estrazione
La zona con le maggiori riserve petrolifere attualmente sotto il controllo dell’ISIS è la provincia siriana di Deir Ezzor, sottratta ormai molti mesi fa dal controllo del governo siriano di Bashar al Assad. La produzione di greggio in questa zona, scrive il Financial Times, si attesta tra i 34mila e i 40mila barili al giorno. I prezzi sono variabili e dipendono dalla qualità del petrolio: vanno dai 45 dollari al barile del giacimento di al Omar – che produce tra i 9mila e i 13mila barili di greggio al giorno – fino ai 30 dollari al barile del giacimento di al Kharata – che produce però solo mille barili al giorno. Nonostante il petrolio sia la fonte principale di guadagno dell’ISIS, la produzione di petrolio prima della guerra era molto più alta di quella attuale. L’ISIS ha provato a reclutare personale specializzato per sfruttare al meglio i giacimenti, ma non ha ancora la tecnologia necessaria per mantenere gli impianti efficienti.

La vendita di greggio e la raffinazione
L’ISIS non esporta il petrolio: nel senso che solitamente la vendita da cui trae del profitto non avviene fuori dai territori che controlla. I compratori del petrolio estratto dall’ISIS sono solitamente commercianti indipendenti siriani o iracheni inseriti in un sistema molto organizzato: si presentano con un’autocisterna direttamente al giacimento, facendo una coda lunga diversi chilometri e che può durare anche settimane. Quello che succede dopo dipende dai compratori, scrive il Financial Times. Semplificando, ci sono tre possibilità. Primo, il greggio può essere portato nella raffineria più vicina: succede soprattutto quando il compratore ha un contratto con delle raffinerie. In questo caso il compratore scarica il greggio all’impianto di raffinazione e torna a prenderne altro. Secondo, il greggio viene portato nelle zone del nord della Siria controllate dai ribelli, oppure a est verso l’Iraq. Terzo, i compratori possono vendere il greggio a un mercato di petrolio locale: il più grande si trova vicino ad al Qaim, sul confine tra Siria ed Iraq. La maggior parte dei compratori di greggio, scrive il Financial Times, guadagnano circa 10 dollari dalla vendita di ciascun barile.

Il processo di raffinazione, comunque, non è sempre facile per l’ISIS: può trasformare il greggio in petrolio oppure in mazout, un tipo di combustibile usato per i generatori (e dunque piuttosto richiesto, visto che molte aree della Siria non hanno praticamente elettricità). Da quando gli aerei della coalizione che combatte l’ISIS hanno cominciato a colpire le raffinerie prefabbricate – “mobili”, le definisce il Financial Times – l’ISIS si è rivolto ad alcuni proprietari di raffinerie, spesso costruite da locali e molto rudimentali. Negli ultimi mesi, ha scritto il Financial Times, sembra che l’ISIS abbia ricominciato a raffinare direttamente il greggio grazie all’acquisto di cinque raffinerie.

I mercati del petrolio
Il Financial Times ha scritto che l’ISIS ha messo in piedi diversi mercati di petrolio raffinato, spesso vicino alle raffinerie. Qui il petrolio viene comprato da commercianti o da intermediari che lo portano ad altri mercati sul territorio iracheno o siriano. Metà del petrolio va all’Iraq, mentre l’altra metà è consumato in Siria, sia nei territori controllati dall’ISIS che in quelli controllati dai ribelli nel nord. Per esempio nell’est di Aleppo, l’ISIS ha un mercato piuttosto grande, mentre a Mosul, in Iraq, il carburante è venduto in piccole stazioni con solo due pompe e che normalmente prendono il nome dalla parte della Siria da cui proviene il petrolio (in questo modo i clienti possono valutarne anche la qualità e il prezzo).

Nelle aree controllate dai ribelli – i gruppi che si oppongono al regime di Assad, ma anche all’ISIS – vengono venduti due tipi di carburante: uno più costoso e proveniente dalle zone controllate dall’ISIS, e uno più economico raffinato localmente. Gli abitanti di queste zone usano il primo per i loro veicoli e il secondo per i generatori. L’importanza del petrolio proveniente dalle aree controllate dall’ISIS, scrive il Financial Times, è uno dei motivi per cui gli Stati Uniti sono stati finora riluttanti a bombardare le rotte da cui passa il petrolio. Il loro timore è quello che bloccando le forniture di carburante, la popolazione locale si ponga in maniera ancora più ostile nei confronti dei paesi della coalizione. Oltre che essere un problema per gli Stati Uniti, lo è ovviamente per gli stessi ribelli. Un comandante ribelle siriano di Aleppo che compra il carburante prodotto nelle zone controllate dell’ISIS ha detto al Financial Times: «È una situazione che ti fa ridere e piangere allo stesso tempo. Ma non abbiamo altra scelta, siamo degli uomini poveri della rivoluzione. C’è qualcun altro che si offre di darci il carburante?»

Il traffico di petrolio
Considerato che l’ISIS sembra interessato a fare profitti solo nella prima fase della lavorazione del petrolio – dall’estrazione alla vendita interna – il traffico verso l’esterno è considerato un’attività piuttosto proficua da diversi siriani ed iracheni, anche se negli ultimi mesi il numero delle persone coinvolte in questo commercio è diminuito a causa dell’abbassamento del prezzo del petrolio. Diversi uomini d’affari, diciamo così, comprano il petrolio dai mercati dell’ISIS o delle zone controllate dai ribelli e lo portano fuori dai confini del Califfato Islamico: il trasporto avviene in oleodotti o in taniche spostate in diversi modi – soprattutto a piedi, ma anche in barca verso la Turchia, e a cavallo o con gli asini nelle zone di montagna. Di recente le rotte di smercio del petrolio sono cambiate: in Siria gli affari si sono spostati nelle aree controllate dai ribelli nel nord-est, mentre in Iraq i traffici verso il Kurdistan iracheno sono stati bloccati e la nuova rotta passa dalla provincia di Anbar verso la Giordania.

Lo scorso anno il giornalista di Buzzfeed Mike Giglio aveva raccontato una delle possibili vie del petrolio citate dal Financial Times: quella degli oleodotti dalla Siria alla Turchia.

«Dopo che l’ISIS ha estratto il greggio dalla Siria, un intermediario lo trasporta fino al confine siriano, in corrispondenza della città turca di Besaslan. Poi il greggio viene pompato all’interno di tubi sotterranei che raggiungono Besaslan: qui alcuni commercianti locali riempiono dei fusti di greggio e li consegnano a uomini d’affari locali che li vendono segretamente ai distributori di benzina o ad altre stazioni di rifornimento illegali.»