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  • Venerdì 13 novembre 2015

L’eruzione del Nevado del Ruiz, 30 anni fa

Causò la morte di 23.000 persone, anche per la grave impreparazione delle autorità locali, ma la si ricorda soprattutto per via di una foto molto controversa

L'eruzione del Nevado del Ruiz, 13 novembre 1985 (AP Photo)
L'eruzione del Nevado del Ruiz, 13 novembre 1985 (AP Photo)

Dopo quasi settant’anni anni di dormienza, il 13 novembre del 1985 il secondo vulcano più elevato della Colombia, il Nevado del Ruiz, tornò in attività: l’eruzione provocò quattro enormi colate di fango, frane e detriti che scesero sulle città vicine a 60 chilometri orari verso la città di Armero e morirono circa 23 mila persone. Fu la seconda eruzione vulcanica per numero di morti del ventesimo secolo, dopo quella del del 1902 del Monte Pelee, nella Martinica. Nel settembre del 1985 diversi scienziati e istituti di vulcanologia della Colombia avevano avvertito il governo di far evacuare la zona intorno al Nevado del Ruiz perché erano state rilevate delle attività del vulcano. L’eruzione colse però impreparate le città vicine e le autorità locali, che ritardarono gli ordini di evacuazione rendendo la situazione ancora più grave e ingestibile. Durante il funerale di massa per le persone morte a causa dell’eruzione venne esposto uno striscione che indicava come principale responsabile di quello che era successo il governo.

(Attenzione, alcune fotografie contengono immagini forti)

Il Nevado del Ruiz è un vulcano andino che si trova sulla cosiddetta “cintura di fuoco” del Pacifico a circa 5.300 metri di altezza, in una zona caratterizzata da frequenti terremoti ed eruzioni vulcaniche che si estende per circa 40 mila chilometri. Gli istituti di vulcanologia, circa dieci giorni prima dell’eruzione del 1985, avevano compilato una mappa delle zone a rischio, che non venne però distribuita dal governo centrale sul territorio perché giudicata allarmista. La prima eruzione avvenne alle tre del pomeriggio del 13 novembre. Un’ora dopo venne avvisato il responsabile della protezione civile che cercò di convocare, senza riuscirci, il governatore della regione e il comandante della polizia. Il primo messaggio di evacuazione venne trasmesso dalle radio alle 19.00, ma la gravità della situazione non fu compresa.

Ad Armero, la città più colpita, un sacerdote rassicurò la popolazione attraverso gli altoparlanti della chiesa, consigliando di rimanere a casa e usare un fazzoletto su naso e bocca contro la cenere che cominciava a piovere. Una temporale, inoltre, causò interruzioni elettriche e ostacolò le comunicazioni rendendo ancora più difficili le operazioni di evacuazione e soccorso. Il vulcano, inoltre, si trova a più di 40 chilometri da Armero e dalla città non è visibile: anche questo, si pensa, potrebbe aver contribuito ad aumentare l’inconsapevolezza degli abitanti e la loro scarsa prontezza nel reagire ai primi allarmi. Intorno alle nove di sera il sindaco di Armero ricevette una chiamata da un villaggio vicino al vulcano che confermò l’eruzione. Ordinò ai vigili del fuoco di far evacuare le persone che vivevano nelle zone più a rischio, ma il tempo per reagire fu poco.

Quando il magma fuoriuscì dal cratere, sciolse il ghiaccio dei ghiacciai vicini. Le quattro grandi colate si incanalarono nei sei principali fiumi che scorrevano alla base del vulcano moltiplicando di quattro volte il loro volume originale raccogliendo detriti e mischiandosi con il fango. L’onda di lava raggiunse la velocità di 80 chilometri orari. Intorno alle 23.30 la lava arrivò ad Armero: morirono 20 mila persone delle 29 mila che vivevano in città e si salvarono solo 80 abitazioni su quasi 5 mila. Le operazioni di soccorso furono complicate dal fango e arrivarono molte ore dopo l’eruzione.

A quel tempo circolò moltissimo la storia di Omayra Sánchez e in particolare di una sua fotografia ancora molto famosa. La foto – che fu premiata l’anno successivo al World Press Photo – fu scattata da Frank Fournier ad Armero poco dopo l’eruzione del vulcano. Omayra Sanchez, bambina di dodici anni, rimase prigioniera delle macerie e del fango: i soccorritori cercarono di liberarla per due giorni e tre notti, ma le attrezzature per il salvataggio non arrivarono in tempo. Sfinita, la bambina morì per un attacco cardiaco. L’eruzione del vulcano Nevado del Ruiz fu documentata anche da un altro grande fotografo, Michel duCille morto nel dicembre del 2014. Nel 1986 vinse il suo primo premio Pulitzer per le fotografie che documentavano quello che avvenne in Colombia nel 1985.

alinari10

Omayra Sánchez, Armero, Colombia (Musée de l’Élysée, Losanna
1985 ©Frank Fournier/Contact Press Images)