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  • Giovedì 5 novembre 2015

Pasolini è il secolo scorso

Salvatore Merlo scrive sul Foglio in rappresentanza dei "lettori meno attempati" che i maggiori quotidiani sembrano non capire

(Vincenzo Livieri - LaPresse)
(Vincenzo Livieri - LaPresse)

Salvatore Merlo, giornalista del Foglio, ha scritto mercoledì una riflessione diversa dalla estesissima produzione di articoli di questi giorni intorno all’anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini e al suo ruolo nella storia e nella cultura italiana. Merlo spiega, ed è una sensazione molto condivisa anche se poco espressa, che a scrivere di Pasolini sono generazioni che hanno una familiarità anagrafica con la storia e le opere di Pasolini, che impedisce loro un’obiettività adeguata sulla sua attualità. I trentenni, scrive Merlo, non solo non leggono Pasolini e lo conoscono poco, ma non lo trovano neanche interessante, se non per curiosità storica su altri tempi, diversi, passati. Che però governano ancora le letture delle cose da parte di un pezzo degli autori che si leggono più spesso sui giornali.

Caro Claudio, tranne alcune, sorprendenti, forse lodevoli eccezioni, non conosco nostri coetanei, cioè trentenni, quelli nati nei magnifici anni del riflusso, che abbiano letto Pier Paolo Pasolini. E un motivo dev’esserci se di fronte all’onda morta di articoli e commemorazioni che da una settimana gonfia senza tregua i quotidiani – quelli che i giovani non leggono (guarda caso) – noi trentenni abbiamo l’impressione d’assistere all’incirca a un dibattito non tra iniziati, ma tra reduci e per reduci. Una specie di rievocazione storica in costume, come il Palio di Siena o la Giostra medievale di Arezzo, una sagra rievocativa tra sessantenni riuniti per scambiarsi reliquie e cimeli, souvenir di memoria, pensieri d’epoca, un universo culturale e sentimentale che riguarda soltanto loro. Come neanche a un raduno degli alpini.

Intendiamoci, io Pasolini l’ho letto, e i suoi film li ho guardati: quale esemplare malinconia di scorci e atmosfere! Con un’economia di mezzi tanto prodigiosa quanto elusiva. Ma senza una sola parola, un’idea, un’immagine che sia d’uso corrente o universale, spendibile oggi, che insomma non suoni stantìa, vecchia, indigesta, non rinchiusa in quell’epoca e nelle ossessioni d’una generazione per la quale il Maggio francese aveva segnato la grande svolta della vita: le firme sui manifesti, sugli appelli, le risoluzioni e le prese di posizione sul Vietnam, la Grecia, il Cile, e poi le pallottole e gli scontri di piazza che “quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti / io simpatizzavo coi poliziotti. / Perché i poliziotti sono figli di poveri”.

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