Il business dell’assicurazione sui concerti

Il Guardian spiega cosa succede quando una band deve annullare un concerto, e cosa fa per evitare di perdere un sacco di soldi

(AP Photo/Tatan Syuflana)
(AP Photo/Tatan Syuflana)

Negli ultimi quindici anni, come hanno spiegato molti esperti dell’azienda musicale, per un artista o un gruppo musicale fare concerti e tour è diventato molto più redditizio che vendere dischi. La maggiore importanza dei concerti dal vivo ha innescato un meccanismo per cui i tour sono diventati sempre più lunghi, spettacolari e quindi costosi per chi anticipa i soldi, cioè i musicisti o le loro case discografiche. E dato che i soldi in ballo sono diventati moltissimi – si parla di milioni di euro – è emersa la necessità di cautelarsi da eventuali guai o problemi che possono succedere durante il tour. Come ha spiegato un lungo articolo del Guardian, di conseguenza, si è diffusa sempre di più la pratica di stipulare un’assicurazione che renda meno rischioso l’investimento economico e gli eventuali guadagni.

Come funziona
Il Guardian spiega che i costi per sostenere un concerto sono molto alti, specialmente per chi suona in posti come stadi e palazzetti, o deve assumere decine di ballerini o tecnici per montare un palco particolarmente elaborato. I guadagni sono ovviamente molto alti, in caso di successo: Billboard ha stimato che nel suo ultimo tour la cantante Taylor Swift abbia guadagnato 2,9 milioni di dollari a ogni tappa. Parallelamente, nel caso un concerto non si svolga per qualsiasi motivo, le perdite sono ugualmente enormi. Di conseguenza moltissime band hanno preso l’abitudine di stipulare un’assicurazione all’inizio del tour che gli permetta di sostenere questi costi e di non esporsi eccessivamente.

Il Guardian spiega che generalmente una band paga per una polizza una cifra fra l’1,5 e il 2 per cento di quanto stima che guadagnerà alla fine, e che le percentuali non sono cambiate molto da quando si iniziò a utilizzare questa pratica negli anni Settanta. Phil Middleton, che gestisce una società che fa da manager fra gli altri ai Radiohead e a Nick Cave, ha spiegato che «più un artista cancella dei concerti, e più dovrà pagare di assicurazione al prossimo giro». Di conseguenza, fra l’altro, meno un artista va in tour e ha una “storia” recente di concerti organizzati e tenuti effettivamente, e più sarà alta la cifra che pagherà. Il Guardian ha scritto che il valore assicurativo di un tour di David Bowie sarebbe per esempio poco quantificabile: Bowie non suona in concerto dal 2004 e probabilmente sarebbe costretto a pagare una cifra altissima per potersi assicurare.

Altre band sono invece note per suonare praticamente sempre, e di conseguenza pagano molto poco di assicurazione: Niamh Byrne, che rappresenta i Blur, ha detto che «la band ha un’etica del lavoro incredibile. Anche se qualcuno si ammala, riescono quasi sempre a suonare». Il contrario di quello che fa Morrissey, famoso per avere annullato molti concerti durante la sua carriera. Ma una polizza assicurativa non viene stipulata solamente sulla base dei tour precedenti: prende in considerazione anche la salute fisica dell’artista o della band. Racconta il Guardian:

Ad alcuni artisti viene chiesto di superare una serie completa di test medici prima che gli assicuratori vogliano averci a che fare. Una nostra fonte, che ha avuto a che fare con un tour che non si è mai realizzato, ci ha raccontato un aneddoto su Whitney Houston, cantante americana morta a 48 anni nel 2012 per un incidente legato alla droga e ai suoi problemi cardiaci: «Si può comprare un’assicurazione su qualsiasi cosa, ma ci sono artisti che sono arrivati al punto per cui nessuno vuole più averci a che fare. Tutti sapevano che Houston stava male, ma lei non ha voluto diffondere nessuna informazione medica sul proprio conto. Di conseguenza era diventata “inassicurabile”».

Mentre prima i controlli medici erano necessari solo per artisti considerati ad alto rischio, oggi stanno diventando la normalità per molti mega-tour. Paul Tweney, che si occupa di spettacoli per una compagnia assicurativa, ha detto che «abbiamo un nostro assicuratore che per esempio insiste sempre per averli», e ha aggiunto che di solito prevedono – oltre a un controllo cardiaco e della pressione – pareri medici esterni sulle analisi del sangue.

Poi ovviamente c’è la complessità e pericolosità del concerto stesso: Twomey ha detto che uno dei concerti più difficili che gli sia capitato di assicurare è stato uno di P!nk nel 2013, che prevedeva un sacco di acrobazie aeree. Al contrario di quello che capita con le assicurazioni per la vita, dunque – dove col passare dell’età una persona è sempre più a rischio di contrarre malattie gravi – più un artista è anziano e meno i suoi tour sono lunghi, serrati o pieni di situazioni acrobatiche e pericolose. Di conseguenza è più facile assicurarli, e pagano probabilmente meno di artisti più giovani e “spericolati”. Twomey ha spiegato che «gente come Van Morrison, Tom Jones o Cliff Richard sanno cosa fare», spiegando che raramente cancellano dei concerti perché conoscono i loro limiti.

Una delle conseguenze più curiose della diffusione delle assicurazioni è che artisti e band si possono permettere sempre meno di vivere una vita “spericolata” prima e dopo i concerti: rischierebbero di non essere in forma a sufficienza, di farsi male e ammalarsi, magari compromettendo il proprio rapporto col pubblico e “macchiando” la propria serie di concerti organizzati ed effettivamente tenuti. Spiega Twomey:

«Certo, esisteranno sempre i Pete Doherty che sono là fuori per vivere il sogno rock’n’roll. Ma per ogni Pete Doherty ci sono 99 altri artisti che salgono sul palco, suonano, e poi scendono e si bevono una tazza di tè. Sanno bene che la loro carriera musicale un giorno finirà, e che in questo momento devono massimizzare i guadagni».