Fine della storia

Stavolta per davvero: le dimissioni in blocco dei consiglieri comunali fanno decadere Ignazio Marino da sindaco di Roma, e con lui la sua giunta

Ignazio Marino, Roma, aprile 2015 (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
Ignazio Marino, Roma, aprile 2015 (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Le dimissioni in blocco di 25 (o 26) consiglieri comunali di Roma, consegnate formalmente venerdì pomeriggio, hanno messo di fatto fine alla giunta del sindaco Ignazio Marino, che non ha più il sostegno del consiglio. Nel pomeriggio di giovedì 29 ottobre Ignazio Marino aveva annunciato il ritiro delle sue dimissioni da sindaco di Roma, confermandolo successivamente con una lettera alla giunta intorno alle sette di sera. Marino aveva annunciato le sue dimissioni l’8 ottobre e le aveva formalizzate il 12. La legge prevede che le dimissioni diventino efficaci dopo 20 giorni dalla loro presentazione al consiglio: Marino aveva alluso alla possibilità di ripensarci già quando aveva annunciato le dimissioni e lo aveva fatto più volte in questi ultimi giorni.

Dopo la decisione di Marino di non ritirarsi e di voler cercare un confronto con la sua maggioranza, gli assessori del PD Marco Causi (Bilancio e vicesindaco), Stefano Esposito (Trasporti) e Luigina Di Liegro (Turismo) avevano dato le dimissioni. Alle 7 si era tenuta una riunione della giunta (dimezzata) che ha approvato la sperimentazione della pedonalizzazione integrale dei Fori nei festivi e nei fine settimana e qualche altro provvedimento. Dopo la riunione si erano dimessi gli assessori Alfonso Sabella (Trasparenza e Legalità), Maurizio Pucci (Lavori pubblici), Giovanna Marinelli (Cultura) e Marco Rossi Doria (Istruzione).

Dopo la rinuncia alle dimissioni, il commissario del PD a Roma, Matteo Orfini, e il capogruppo del PD in Campidoglio, Fabrizio Panecaldo, avevano pubblicato una nota:

«Con senso di responsabilità nei confronti dei romani e di Roma che non merita il protrarsi di questa penosa attesa siamo uniti e determinati a dare alla Capitale da domani un nuovo inizio. Spiace che Ignazio Marino oggi abbia vanificato uno sforzo comune per individuare soluzioni che avessero al centro la città e non i destini personali. Così non è stato, con un inspiegabile arbitrio e un’idea di Roma come di una proprietà privata, che non è giusta e corretta nei confronti dei cittadini. Domani Roma volta pagina e non perché lo ha deciso questo o quel partito, ma perché, andando oltre egoismi e personalismi, la nostra città merita affidabilità, governo quotidiano e una rinascita civica su cui lavoreremo da subito».

Nel frattempo, Repubblica ha scritto che a Marino è stato notificato già da mercoledì un avviso di garanzia: è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma per peculato e concorso in falso in atto pubblico nell’inchiesta sui giustificativi delle note spese saldate con la carta di credito del Comune. La notizia è stata confermata in mattinata dal legale del sindaco. Secondo il Corriere, Marino sarebbe indagato con l’accusa di truffa anche in una seconda indagine legata alla “Image Onlus“, fondata da lui nel 2005 per portare aiuti in Honduras e Congo: sarebbero stati contestati due contratti di consulenza che avrebbero garantito all’associazione una serie di sgravi fiscali. Dopo la notizia dell’indagine, l’ex assessore ai Trasporti di Roma Stefano Esposito ha commentato su Twitter scrivendo:

https://twitter.com/stefanoesposito/status/659993592501530625

E poi?
In base all’articolo 141 del Testo unico sugli enti locali, allo scioglimento effettivo del consiglio seguirà la contestuale nomina di un commissario. Il prefetto di Roma, che è Franco Gabrielli, dovrà nominare il commissario prefettizio. I poteri del commissario prefettizio sono identici a quelli di consiglio, giunta e sindaco messi insieme. La sua nomina coinciderebbe con due importanti eventi che inizieranno a Roma nei prossimi mesi: il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco (8 dicembre) e il processo di Mafia Capitale (5 novembre).

Il rinnovo del consiglio comunale, cioè le elezioni, dovrebbero coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge: quindi maggio 2016, quando si voterà anche a Milano, Trieste, Bologna, Cagliari, Napoli e Torino (oltre che in altre centinaia di comuni più piccoli).