• Mondo
  • Giovedì 29 ottobre 2015

Le violenze atroci in Sud Sudan

L'Unione Africana ha trovato prove di stupri, torture e atti di cannibalismo di cui ha accusato sia il governo che i ribelli

Una donna e i suoi figli su una canoa, in fuga attraverso una palude dal conflitto in Sud Sudan, 11 ottobre 2015 (AP Photo/Jason Patinkin)
Una donna e i suoi figli su una canoa, in fuga attraverso una palude dal conflitto in Sud Sudan, 11 ottobre 2015 (AP Photo/Jason Patinkin)

L’Unione Africana ha accusato sia il governo che le forze ribelli del Sud Sudan di aver commesso violenze particolarmente atroci nella guerra civile iniziata nel dicembre del 2013. Una commissione di inchiesta creata circa un anno fa e guidata dall’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo ha trovato prove di omicidi, torture, mutilazioni, rapimenti di donne, stupri e anche di episodi di cannibalismo forzato, soprattutto contro civili non direttamente coinvolti nel conflitto.

Nella sua relazione, l’UA ha detto di aver individuato gli autori delle violenze da entrambe le parti e che i crimini sono stati commessi a Juba, Bor, Bentiu e Malakal. Alcuni testimoni a Juba hanno parlato di civili costretti a bere sangue e a mangiare carne di persone che erano state appena uccise o bruciate. Il rapporto parla anche di alcune fosse comuni scoperte dagli investigatori. Le Nazioni Unite avevano già accusato il governo e i combattenti ribelli di aver commesso atrocità e crimini contro l’umanità.

Il Sud Sudan è lo stato più giovane al mondo: esiste dal 9 luglio 2011 ed è nato dopo una guerra civile e grazie a un referendum in cui il 99 per cento dei votanti si è espresso a favore della secessione dal Sudan. Fin dai primi mesi dalla sua indipendenza, il governo del Sud Sudan non si è mostrato in grado di governare con efficienza, a causa soprattutto delle molte divisioni etniche e di una controversia intensa con il Sudan per la gestione e vendita del petrolio.

Nel dicembre del 2013 è poi cominciata una guerra civile molto violenta, riconducibile alla lotta di potere tra le forze del presidente sud sudanese Salva Kiir – a capo del paese dall’indipendenza – e quelle dell’ex vicepresidente e attuale leader dei ribelli Riek Machar. L’opposizione tra i due schieramenti è alimentata anche da antiche divisioni etniche, e cioè dall’inimicizia tra i Dinka, il gruppo etnico di Kiir e il più numeroso del paese, e i Nuer, a cui invece appartiene Machar. Decine di migliaia di persone (quasi una su cinque su una popolazione totale di 12 milioni) sono state costrette a lasciare le loro case per gli scontri tra i due schieramenti e si sono rifugiate nei centri di accoglienza dell’ONU, che sono sempre più affollati e a corto di risorse. Nel frattempo i ribelli hanno continuato a chiedere le dimissioni del presidente Kiir o almeno una divisione del potere tra i due gruppi. Sono state raggiunte almeno sette tregue dall’inizio del conflitto, che però non sono mai state rispettate: l’ultima risale allo scorso agosto.

Oltre alla gravissima situazione umanitaria, il rapporto dell’Unione Africana contiene due conclusioni che potrebbero avere delle importanti conseguenze politiche o “storiche” nell’analisi del conflitto. La commissione dell’UA ha rifiutato l’ipotesi del tentato colpo di stato contro Kiir di cui, fin dall’inizio della guerra e come sua causa principale, è stato accusato Machar: «Da tutte le informazioni a disposizione della commissione, le prove non dimostrano un colpo di Stato». Inoltre, risulterebbe che le centinaia di uccisioni di soldati e civili Nuer a Juba, la capitale, nella prima settimana del conflitto facessero parte di un’operazione militare organizzata da una milizia vicina al presidente già prima dell’inizio della guerra.