Bild contro “adblock”

Gli utenti che usano un software che blocca le pubblicità non possono più accedere al sito del giornale tedesco: è una decisione importante per tutto il giornalismo online

(Chip Somodevilla/Getty Images)
(Chip Somodevilla/Getty Images)

Il 13 ottobre il grande gruppo editoriale tedesco Axel Springer – quello che controlla Bild, il quotidiano più venduto in Europa – ha fatto sapere che bloccherà la navigazione degli utenti che andranno sul sito di Bild usando dei software di “adblocking”, quelli che permettono di non caricare i contenuti pubblicitari nelle pagine che si visitano. Donata Hopfen, amministratrice delegata di Bild, ha spiegato al Financial Times che per continuare a fornire un servizio indipendente anche su internet i servizi di giornalismo hanno bisogno di essere finanziati con la pubblicità e le vendite: da oggi i visitatori del sito Bild.de che proveranno ad accedervi usando un software per fermare le pubblicità verranno invitati ad abbonarsi al sito o disattivare il software se vogliono leggerne i contenuti.

I servizi di “adblocking” sono numerosi ed esistono ormai da anni: col tempo sono diventati sempre più diffusi e sempre più efficaci nel bloccare ogni tipo di pubblicità. Questo tipo di software sono stati inizialmente sviluppati da singoli programmatori o piccole startup, ma negli ultimi mesi anche le nuove versioni di alcuni browser – tra cui soprattutto Safari di Apple – si sono mostrate interessate a offrire agli utenti dei servizi propri di “adblock”.
La questione dell’uso di questi programmi si inserisce in una profonda discussione che riguarda i giornali online, i guadagni di chi li fa e le pratiche di chi li legge. Chi li usa e difende sostiene che le pubblicità online sono, oltre che fastidiose, un problema per la velocità di caricamento delle pagine e per la privacy degli utenti, molte pubblicità sono infatti “targettizzate” sugli utenti, ne “studiano” i siti visitati, gli interessi e le abitudini per presentargli delle offerte su misura. Chi si oppone ai software di “adblocking” lo fa perché ritiene che rendono impossibile la sopravvivenza dei giornali: per offrire un servizio gratuitamente (come fanno la maggior parte dei giornali online) un giornale deve generare ricavi grazie alla pubblicità, ma i guadagni pubblicitari dipendono dal numero di visualizzazioni di ogni pubblicità e se gli utenti usano programmi di “adblocking” fanno  diminuire i guadagni del sito che visitano.

Secondo Bild – che ha 265 mila lettori abbonati alla sua versione online – circa il 23 per cento dei suoi lettori usa software per bloccare la pubblicità presente sul sito: ora a questi lettori viene chiesto di spegnere il programma o di abbonarsi al sito attraverso una sottoscrizione “su misura”, pagando 2,99 euro al mese per una versione “virtualmente senza pubblicità”, che Bild garantisce essere più veloce rispetto a quella standard e che è più economica di quella normale, che costa invece 4,99 euro al mese.

Già alcuni mesi fa Axel Springer aveva fatto causa ad Adblock Plus – un’estensione per browser creata dalla startup tedesca Eyeo – perché riteneva che andasse contro le leggi sul copyright, la posizione dominante sul mercato e sulla concorrenza. Lo scorso mese la corte non aveva accolto le richieste di Axel Springer, che ha però deciso di fare appello contro la sentenza. Negli ultimi giorni un altro popolare software che blocca le pubblicità, AdBlock, ha fatto sapere che non bloccherà più tutte le pubblicità ma, se l’utente lo vorrà, impedirà solo il caricamento di quelle ritenute fastidiose, lasciando visibili quelle utili, efficaci e “accettabili”, cercando quindi un compromesso tra la necessità dei siti di generare ricavi e quella dei lettori infastiditi dalla molta pubblicità presente su alcune pagine.

La startup irlandese Page-Fair che si occupa di analisi di traffico online parla di dati simili a quelli di Bild sul numero di lettori che usa programmi di “adblocking” per l’intero traffico web tedesco: un utente su quattro di quelli che usano internet in Germania usa un software di “adblocking”. Page-Fair è una società il cui motto è “aiutiamo i siti a sopravvivere alla crescita degli adblock”, e si propone come punto d’incontro tra gli utenti e i gestori di siti web, proponendo ai lettori che non vogliono vedere la pubblicità di pagare piccole quote di denaro per far sì che i siti abbiano comunque un guadagno. In pratica Page-Fair propone ai lettori che usano un software per bloccare le pubblicità di farlo a pagamento, destinando parte del loro guadagno ai siti che leggono e che vogliono sostenere: questa via è una delle possibili soluzioni della questione ed è per esempio quella scelta dal Guardian, che pubblica tutti i suoi articoli senza chiedere abbonamento, ma chiedendo (senza imporlo) agli utenti che usano software di “ablocking” di fare donazioni al sito o sostenerlo in altri modi che non siano la pubblicità.