• Mondo
  • Domenica 11 ottobre 2015

L’economia “privata” della Corea del Nord

Negli ultimi anni da quelle parti si è sviluppata – con il silenzioso sostegno del regime – una specie di economia privata che sta trainando la crescita del paese

Il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un mentre ispeziona una struttura per la produzione di carne. 
(KNS/AFP/Getty Images)
Il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un mentre ispeziona una struttura per la produzione di carne. (KNS/AFP/Getty Images)

Siamo abituati a pensare alla Corea del Nord come a un paese povero e arretrato, quasi del tutto privo di un’economia e soggetto agli umori del suo dittatore. Un articolo scritto per il Guardian dallo studioso russo Andrei Lankov smentisce tuttavia in parte le nostre idee sulla Corea del Nord e descrive un paese che negli ultimi anni è riuscito a superare la grande crisi economica e produttiva degli anni Novanta e, anche se ancora con qualche incertezza e contraddizione, ad affidare la sua crescita economica anche all’impresa privata. Secondo Lankov, quindi, le politiche economiche di Kim Jong-un, leader della Corea del Nord subentrato al padre Kim Jong-il, stanno portando qualche beneficio al paese: secondo le stime più pessimiste il PIL della Corea del Nord crescerà dell’1,5 per cento quest’anno, secondo le più ottimiste potrebbe arrivare al 4 per cento.

Secondo la legge della Corea del Nord, che è un regime totalitario comunista, l’attività imprenditoriale privata è ancora proibita. Tuttavia, spiega Lankov, questo divieto è molto spesso poco più di una formalità e nel corso degli anni si sono sviluppati diversi espedienti per aggirare formalmente il divieto ma permettere di fatto attività economiche private. L’articolo del Guardian racconta che oggi ci sono diverse imprese sostanzialmente private, tra cui anche grosse aziende minerarie, di trasporto e raffinerie di petrolio. Chi gestisce l’impresa la deve registrare come azienda dello Stato, ma per il resto si comporta e la gestisce come farebbe un privato con la sua azienda. Secondo gli esperti tra il 30 e il 50 per cento dell’economia nordcoreana è composta da questo settore “privato”.

Lo sviluppo di questa strana economia privata ha fatto sì che negli ultimi anni sia nata anche una specie di nuova classe ricca, formata da imprenditori e imprenditrici (molte, nota Lankov) che hanno una certa disponibilità finanziaria senza avere a che fare con l’apparato statale o del partito. Nei quartieri ricchi di Pyongyang sono stati aperti negli ultimi tempi dei nuovi ristoranti, frequentati per lo più dai nuovi ricchi: i prezzi dei pasti, compresi in media tra i 15 e i 25 dollari circa, sono equivalenti agli stipendi settimanali medi delle famiglie nord coreane. Una cosa simile succede anche nel mercato immobiliare. In Corea del Nord è vietato il possesso di una casa, formalmente sono tutte dello Stato, ma i “diritti di residenza” sono in qualche modo diventati il prezzo delle case e vengono comprati e venduti al posto della proprietà. Nella capitale Pyongyang il costo dei “diritti di residenza” è cresciuto di circa 10 volte negli ultimi anni fino ad arrivare a 200mila dollari per le case di lusso, seguendo le stesse dinamiche di un mercato immobiliare privato.

Questa forma di imprenditoria privata era già cominciata negli anni Novanta, quando a governare il paese era Kim Jong-il. Il padre dell’attuale dittatore non sapeva però bene come gestire la cosa: alle volte reprimeva queste iniziative private, altre volte le tollerava. Negli ultimi anni, invece, è diventato molto raro che lo Stato intervenga negli affari delle compagnie “private”, che vengono anzi “silenziosamente incoraggiate”. Come scrive Lankov, il progetto di Kim Jong-un sembra imporre al paese una sorta di “capitalismo autoritario”, sul modello di quello che ha funzionato con buoni risultati in Cina o a Taiwan.

Negli ultimi anni il nuovo leader ha ottenuto buoni successi economici anche grazie alla sua riforma dell’agricoltura, simile a quella attuata dalla Cina negli anni Settanta: i campi rimangono di proprietà dello Stato, ma vengono dati in gestione ai coltivatori che possono trattenere una frazione del raccolto, tra il 30 e il 70 per cento. In questo modo chi ha in gestione i campi, partecipando in un certo senso agli “utili”, si impegna a massimizzarne la produzione: negli ultimi due anni i raccolti sono cresciuti tantissimo e la Corea del Nord – che negli anni Novanta era stata colpita da una gravissima carestia – è ormai autosufficiente per quanto riguarda il cibo prodotto.

Anche se la crescita economica degli ultimi anni sta portando qualche beneficio alla fascia più povera della popolazione – e anche se, come raccontano le persone che riescono a fuggire dalla Corea del Nord, Kim Jong-un resta molto popolare – la Corea del Nord è un paese ancora estremamente povero e isolato: il suo reddito medio, per esempio, è 15 volte inferiore a quello della Corea del Sud. Inoltre lo sviluppo di un’economia “privata” non va confuso con un aumento delle libertà personali dei cittadini della Corea del Nord. Il controllo dello Stato nella vita dei suoi cittadini è ancora molto stretto: anche possedere una semplice radio è reato, le persone vengono condannate a morte di frequente per reati politici e nel paese sono attivi diversi campi di internamento per i nemici e gli oppositori del regime.