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  • Sabato 10 ottobre 2015

La storia terribile di Rosemary Kennedy

Un libro ha raccontato di nuovo la storia della sorella minore di John Fitzgerald Kennedy, che nacque disabile e fu sottoposta a lobotomia

Rosemary Kennedy, nel 1938 (Keystone/Getty Images)
Rosemary Kennedy, nel 1938 (Keystone/Getty Images)

Il 6 ottobre è uscito negli Stati Uniti il libro Rosemary: The Hidden Kennedy Daughter: pubblicato da Houghton Mifflin Harcourt, è stato scritto dalla storica Kate Clifford Larson e racconta la storia di Rosemary Kennedy, “la figlia segreta dei Kennedy”. Meryl Gordon ha recensito il libro sul New York Times, definendolo un “resoconto di valore di una storia sulla tragedia di una malattia mentale“. Rosemary – la sorella minore di John Fitzgerald Kennedy – nacque infatti con una disabilità mentale che la sua famiglia cercò di tenere nascosta per anni. Quando aveva 23 anni Rosemary fu sottoposta a una lobotomia che anziché aiutarla peggiorò molto le sue condizioni: fu costretta a passare il resto della vita in un istituto di cura.

Rosemary Kennedy nacque nel settembre 1918, meno di un anno dopo di John Fitzgerald Kennedy – il 35esimo presidente degli Stati Uniti, assassinato il 22 novembre 1963 a Dallas. Rosemary fu la terzogenita della famiglia Kennedy e la prima femmina tra i nove figli avuti dal politico e diplomatico statunitense Joseph Patrick “Joe” Kennedy, Sr. e da sua moglie Rose Elizabeth Fitzgerald. I primi due figli dei Kennedy erano nati in casa e i coniugi Kennedy decisero di far nascere in casa anche Rosemary. Non si riuscì però a trovare un medico, e l’infermiera che si occupava della madre di Rosemary decise di “bloccare” il parto per circa due ore, durante le quali la testa di Rosemary restò nel canale uterino. Fu la carenza di ossigeno dovuta all’errata decisione dell’infermiera a causare la disabilità mentale di Rosemary.

Rosemary KennedyRosemary è la ragazza in basso a destra, John F. Kennedy è quello a sinistra, con la camicia bianca. (Richard Sears/ John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston)

Nei suoi primi anni di vita Rosemary fu aiutata da alcuni insegnanti e da assistenti privati e, seppur in ritardo rispetto ad altri suoi coetanei, imparò a leggere e scrivere. Da quando aveva 11 anni Rosemary fu mandata dai genitori in diverse scuole per ragazzi con disabilità mentale: nel recensire il libro di Larson, Gordon spiega che Rosemary cambiò molte scuole perché i suoi improvvisi sbalzi d’umore rendevano problematica la sua istruzione e perché i suoi genitori pensavano che un “cambio di contesto” avrebbe potuto portarle dei benefici.

Gordon scrive che a 15 anni Rosemary aveva le capacità di scrittura di solito associate a una ragazza di 10 anni, ma che i diari da lei tenuti – in seguito ritrovati e raccontati in altri libri – hanno mostrato che Rosemary manifestava gioia e sembrava essere “composta e socievole”, oltre che affezionata ai suoi genitori: scrisse per esempio al padre che avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo felice. I suoi genitori continuarono però a farla sottoporre a costanti “iniezioni sperimentali” che avevano lo scopo di risolvere i suoi “squilibri ormonali”. Gordon scrive: «Suo padre la descriveva come sofferente e “ritardata”. I suoi fratelli, a cui spesso era dato l’incarico di prendersi cura di lei, erano di supporto, ma talvolta insofferenti».

Nel 1938 – quando Rosemary aveva vent’anni – suo padre fu nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna e la famiglia Kennedy si trasferì oltreoceano. Dopo l’arrivo in Gran Bretagna Rosemary “sbocciò” e Gordon scrive che sviluppò “una provocante bellezza”, apprezzata da molti uomini. Nell’autunno del 1939 con l’inizio della Seconda guerra mondiale e a seguito di divergenze tra il padre di Rosemary e il presidente Roosevelt la famiglia Kennedy tornò negli Stati Uniti. Rosemary soffrì molto per il ritorno negli Stati Uniti e la sua condizione peggiorò: fu di nuovo mandata in diverse scuole, in cui non restò mai per più di alcune settimane.

Rosemary KennedyLa famiglia Kennedy nel 1937: Rosemary è a destra di John F. Kennedy, che indossa una giacca bianca (Keystone/Getty Images)

Gordon scrive che Rosemary iniziò a “vagare tutte le notti” e che temendo che “gli uomini potessero approfittarsi sessualmente di lei” – rovinando così il buon nome della famiglia – i suoi genitori decisero di farla sottoporre alla lobotomia, i cui rischi al tempo erano già noti (ne aveva per esempio parlato la American Medical Association). Gordon scrive:

Nel novembre 1941 una pienamente sveglia Rosemary andò all’ospedale della George Washington University e seguì le istruzioni dei medici che le dicevano di canticchiare canzoni e raccontare storie mentre le venivano fatti due buchi in testa e le venivano tagliate le terminazioni nervose, finché lei non divenne incoerente e poi silente.

Subito dopo l’intervento Rosemary riusciva a pronunciare solo poche semplici parole, perse l’uso di un braccio e camminava a fatica. Riuscì col tempo a pronunciare altre parole, non riprese però mai l’uso del braccio e non tornò mai a camminare normalmente. Fu mandata in un istituto psichiatrico privato a New York e poi in una struttura simile gestita dalla Chiesa, in Wisconsin. Non ci sono prove del fatto che dal 1948 in poi il padre di Rosemary le fece visita. Sembra che anche la madre – che incolpò il marito per la lobotomia – non visitò sua figlia per decenni.

A prendersi cura di Rosemary fu soprattutto sua sorella Eunice Kennedy Shriver, la quinta dei nove figli Kennedy. Gordon scrive che Eunice riuscì anche a convincere suo fratello John Fitzgerald Kennedy, che nel frattempo era diventato presidente, a promuovere la nascita di associazioni che si occupassero di bambini con problemi simili a quelli di Rosemary. Nel 1974 anche la madre di Rosemary si riavvicinò a sua figlia e in alcune occasioni portò Rosemary – che restò sempre nell’istituto in Wisconsin – a delle “riunioni di famiglia”. Rosemary morì nel 2005, all’età di 85 anni. Eunice Kennedy Shriver morì nel 2009 ed è ricordata per aver fondato nel 1968 le Special Olympics, una competizione dedicata agli atleti con disabilità intellettive e cognitive.