Il ritorno degli animali a Chernobyl

Ce ne sono sempre di più: non sono immuni alle radiazioni, ma l'assenza degli esseri umani dà loro nuovi spazi e opportunità

di Sarah Kaplan e Nick Kirkpatrick – Washington Post

Cavalli selvatici vicino a Chernobyl, nel 2006 (SERGEI SUPINSKY/AFP/Getty Images)
Cavalli selvatici vicino a Chernobyl, nel 2006 (SERGEI SUPINSKY/AFP/Getty Images)

Dopo l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl – il 26 aprile 1986 – morirono decine di persone e più di 100mila dovettero lasciare le loro case. Oggi le case di quelle persone sono abbandonate. Le viti si arrampicano sui muri radioattivi delle vecchie fattorie e dai tetti rotti delle case entra la luce. In questo scenario post-apocalittico non vive nessuno. O meglio, nessun essere umano. Nell’area intorno a Chernobyl ci sono infatti molti animali: irsuti cinghiali selvaggi, alci dalle lunghe zampe e lupi che ululano. Dell’alto numero di animali intorno a Chernobyl ha parlato pochi giorni fa uno studio pubblicato su Current Biology: secondo lo studio nella “exclusion zone” – la “zona di alienazione”, l’area che circonda Chernobyl per un raggio di circa 30 chilometri – il numero di mammiferi è tanto alto quanto quello che si può trovare nella maggior parte dei parchi protetti della Bielorussia, e forse pure più alto.

«Non è una novità: da quando nel 1986 gli esseri umani se ne sono andati gli animali hanno iniziato ad aumentare», ha spiegato Tom Hinton, esperto di radioecologia e coautore dello studio pubblicato su Current Biology. «È però sorprendente che gli animali siano aumentati persino in quella che è una delle aree più contaminate della Terra». In altre parole, sembra che per quanto riguarda gli animali le conseguenze del disastro di Chernobyl siano state compensate dall’assenza di esseri umani. «La cosa fa capire quanti danni facciamo di solito con la nostra presenza», ha detto Jim Smith, un altro coautore dello studio su Chernobyl, che è docente di scienza dell’ambiente all’università di Portsmouth, negli Stati Uniti. «Non è che le radiazioni non facciano male agli animali: semplicemente le persone fanno più male».

Lo studio pubblicato su Current Biology è il primo censimento degli animali selvatici nella zona di alienazione ed è stato fatto grazie ad anni di osservazioni da alcuni elicotteri e grazie agli scienziati che per tre inverni, dal 2008 al 2010, hanno contato le impronte che le zampe degli animali hanno lasciato nella parte bielorussa dell’area interessata. Prima del disastro di Chernobyl non era mai stato fatto un censimento, quindi non si sa quanti fossero gli animali prima del 1986: si sa però che sono di sicuro aumentati quando gli esseri umani se ne sono andati. Orsi bruni e linci europee sono rapidamente apparsi nelle foreste intorno a Chernobyl e prima del disastro nucleare non se ne vedevano da decenni. I cinghiali selvatici hanno occupato le case abbandonate e gli alberi hanno sostituito gli esseri umani nelle strade vuote delle città.

In dieci anni il numero degli animali nella zona di alienazione è perlomeno raddoppiato. Nello stesso periodo, specie animali che crescevano di numero nella zona di alienazione stavano sparendo da altre parti dell’ex Unione Sovietica, soprattutto a causa della caccia e della cattiva gestione delle risorse naturali. Nel 2010, anno in cui è finito lo studio, il numero di esemplari della maggior parte delle specie era pari a quello in ognuno dei quattro parchi naturali della Bielorussia. Il numero dei lupi era invece sette volte più grande.

Hinton ha però spiegato che lui e i suoi colleghi non hanno studiato i singoli esemplari di animali e non hanno nemmeno analizzato i danni che la contaminazione ha causato loro a livello molecolare. La popolazione generale non sta morendo, ma i singoli animali possono ammalarsi: delle analisi hanno per esempio mostrato che il suolo di alcune aree vicine al reattore di Chernobyl continua a emettere radiazioni. Ciononostante “l’ambiente è molto resistente”, ha spiegato Hinton. La presenza dei lupi è particolarmente significativa: sono dei predatori in cima alla catena alimentare, la loro presenza è un segno della buona salute dell’ecosistema. Se stanno bene loro, allora stanno bene tutte le specie che da loro sono predate.

Nel frattempo, un’altra squadra di ricercatori sta monitorando la parte ucraina dalla zona di alienazione: lo studio terminerà a fine anno ma l’esperto di radioecologia Nick Beresfold ha detto che ci si aspetta di arrivare a risultati simili. Parlando dello studio pubblicato su Current Biology, Beresford ha detto: «Già in passato si era parlato della possibilità che gli animali stessero bene e stessero aumentando, ma quei resoconti erano liquidati come “aneddoti”. Questo è il primo studio a essere davvero supportato da un fondamento scientifico». Per Hinton, che ora si sta occupando degli effetti del disastro nucleare di Fukushima (avvenuto in Giappone nel 2011), i risultati dello studio sono sia tristi che sorprendenti.

È un’esperienza incredibile dal punto di vista naturale, ma è anche una triste esperienza se si pensa alle case abbandonate e a quello che hanno dovuto passare quelle persone. È triste vedere le case, le automobili e i cappellini da baseball pensando che sono tutte cose che le persone hanno dovuto abbandonare prima di andarsene. Però si vedono anche cinghiali selvatici che corrono in giro, ed è una cosa che appena si esce dalla zona di alienazione non si vede più.

©Washington Post 2015