Come San Francisco sta battendo l’AIDS

Combinando trattamenti tempestivi e prevenzione, la città ha ridotto il numero di nuove infezioni da HIV ed è diventata un modello

Una clinica per pazienti sieropositivi a San Francisco, Stati Uniti (AP Photo/Jeff Chiu)
Una clinica per pazienti sieropositivi a San Francisco, Stati Uniti (AP Photo/Jeff Chiu)

Per anni San Francisco è stata una delle città degli Stati Uniti con il più alto numero di contagi da HIV, il virus che causa l’AIDS, ma grazie a politiche lungimiranti e all’investimento di cospicui fondi negli ultimi tempi è riuscita a tenere sotto controllo l’epidemia e a ridurre notevolmente i nuovi casi, tanto da essere definita un modello nella lotta contro l’AIDS dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). A San Francisco ci sono state solamente 302 diagnosi di HIV nel 2014, il numero più basso degli ultimi anni e molto distante dal picco dell’epidemia registrato nel 1992 con 2.332 casi, spiegano sul New York Times. Sempre nel 1992 i morti a causa dell’AIDS furono 1.641; lo scorso anno sono stati 177 e in molti casi si è trattato di decessi dovuti ad altre patologie non necessariamente connesse all’HIV, come cancro e altre malattie dovute all’invecchiamento.

Risultati così buoni sono stati resi possibili dalla combinazione di politiche sanitarie di diverso tipo, che hanno richiesto investimenti importanti da parte dell’amministrazione locale di San Francisco. I due punti fondamentali sono stati l’attivazione di tempestive terapie per chi è stato appena infettato e, per quanto riguarda la prevenzione, la somministrazione di farmaci per le persone più a rischio di contrarre il virus dell’HIV. Un piano di questo tipo è stato reso possibile dalla presenza di leader politici molto sensibili al problema, in parte perché riguarda una cospicua parte di elettori nella comunità gay, e poi dal fatto che San Francisco ha un bilancio molto ricco grazie alla presenza delle aziende della Silicon Valley che pagano ogni anno le tasse locali. Il budget della città in appena dieci anni è passato da 5 a 9 miliardi di dollari, permettendo alla pubblica amministrazione di avviare piani di assistenza sanitaria paralleli a quelli privati, per chi non può permetterseli, e a quelli federali, per chi non ha i requisiti necessari.

In seguito ai nuovi successi della Silicon Valley, gli affitti nell’area di San Francisco sono aumentati enormemente, e questo almeno in parte ha contribuito a migliorare le cose su base locale per quanto riguarda la lotta all’AIDS, seppure in un modo un po’ spietato. Solo i più ricchi, infatti, possono permettersi una casa in città a causa degli affitti molto alti: si tratta di bianchi con un buon reddito, che si possono permettere un’assicurazione sanitaria e sono più consapevoli dei rischi legati all’HIV. Due terzi delle persone con HIV a San Francisco sono bianchi o asiatici, a differenza del resto degli Stati Uniti dove afroamericani e latini sono il 63 per cento.

Il New York Times spiega che la principale forza di San Francisco è stata adottare rapidamente sistemi e strategie per contrastare la diffusione dell’HIV, sperimentando progetti che in seguito hanno ricevuto il sostegno della sanità statunitense e dell’OMS. Nel 1983 la città è stata tra le prime ad aprire un reparto di ospedale dedicato esclusivamente all’AIDS, quattro anni dopo essere stata la prima ad avviare la sperimentazione del farmaco antiretrovirale AZT, che serve a ridurre la moltiplicazione del virus nell’organismo. Nel 1992 l’amministrazione locale ha avviato un piano per la distribuzione gratuita di aghi sterili ai tossicodipendenti, riducendo quindi una delle principali cause di trasmissione del virus.

Ma un notevole salto di qualità nel contrastare l’AIDS è avvenuto nel 2010, quando a San Francisco si è deciso di adottare un nuovo sistema – chiamato informalmente “test e trattamento” – che prevede la somministrazione di farmaci antiretrovirali da subito, in modo da ridurre il più possibile l’aggressività del virus in chi potrebbe essere stato contagiato. A questo progetto si è affiancata l’iniziativa “Rapid” per garantire una visita entro poche ore dal possibile contagio: è un piano di assistenza su vari livelli, copre anche le spese per prendere un taxi e andare al primo centro medico disponibile e fornisce aiuto per ottenere quanto dovuto dalla propria assicurazione sanitaria.

Una delle cliniche che aderisce al piano si chiama Magnet Clinic e ha testato 9.600 persone per l’HIV solo l’anno scorso. Si trova a Castro, il quartiere di San Francisco conosciuto in tutto il mondo per la sua comunità gay, e ricorda più un negozio di cellulari che una clinica: ci sono divanetti nella stanza di attesa, fiori, casse che diffondono musica disco e arredamenti creativi di vario tipo, compreso un mobile fatto con peni giocattolo. I responsabili della Magnet Clinic spiegano di averla fatta così per dare l’idea di un ambiente amichevole e che non colpevolizza chi lo frequenta, soprattutto in quel momento di alto stress psicologico in cui si teme di avere contratto il virus. “Puoi entrare e dirci che sei appena andato a letto con 20 tizi e che non hai idea di come sia fatto un preservativo, non ti criticheremo. Cercheremo di aiutarti”, spiega il responsabile della struttura.

L’assunzione regolare di antiretrovirali riduce notevolmente gli effetti dell’HIV e la possibilità di sviluppare l’AIDS (dal virus non si guarisce, ma sotto una certa concentrazione nel sangue non si hanno particolari sintomi e si vive normalmente). Il problema è che in molti casi è difficile seguire capillarmente i pazienti soprattutto nel lungo periodo, per assicurarsi che continuino a prendere i medicinali. Alcune cliniche a San Francisco hanno avviato piani per tenere sotto controllo i pazienti e incentivarli a seguire le prescrizioni mediche, soprattutto nei quartieri più poveri dove la dispersione dei pazienti è più alta. Quattro anni fa è stata avviata l’iniziativa “Linkage Into Care Teams” (LINCS) per seguire i pazienti: tra il 2012 e il 2013 i suoi incaricati sono riusciti a rintracciare 116 pazienti su 315 per dare loro assistenza e assicurarsi che continuassero a curarsi. I restanti pazienti erano stati incarcerati, erano morti, si erano rifiutati di ottenere aiuto oppure non erano stati trovati. Chi viene seguito da LINCS ha in media il doppio delle probabilità di tenere sotto controllo l’infezione da HIV rispetto a chi non riceve assistenza.

A San Francisco sono riusciti a ridurre i casi di AIDS anche grazie all’adozione in breve tempo di farmaci di nuova generazione, come il Truvada, che deriva dalla combinazione di altri due principi attivi noti da tempo (Tenofovir e Emtricitabina) e che serve a prevenire la diffusione del virus aggredendolo nel sangue. Il Truvada è ritenuto già da alcuni anni una buona soluzione per la profilassi pre-espositiva (PreP), da effettuare nel caso in cui ci siano stati rapporti non protetti con persone sieropositive. Dal 2013 il farmaco viene offerto a tutte le persone a rischio, anche se ci sono polemiche legate al fatto che in questo modo viene disincentivato l’uso del preservativo, perché molte persone sanno mal che vada di potere contare sulla somministrazione del farmaco. In realtà i dati su un campione di 657 persone dicono che nessuna di queste ha contratto l’HIV anche se ha ridotto l’uso del preservativo, cosa che ha portato semmai alla contrazione di malattie veneree di altro tipo.

La riduzione sensibile di nuovi casi di infezioni da HIV sta avendo risvolti poco attesi dal punto di vista psicologico per quanto riguarda i rapporti omosessuali, dice il New York Times: la paura della morte sembra essere meno sentita tra i gay, mentre un tempo era un elemento molto presente soprattutto negli Stati Uniti.