• Moda
  • Martedì 6 ottobre 2015

La sfilata aeroportuale di Chanel

Dopo il finto supermercato e il finto casinò, quest'anno Karl Lagerfeld ha scelto di ambientare la sua sfilata in un finto aeroporto (un tema già usato in passato)

La sfilata di Chanel in un finto aeroporto, durante la settimana della moda di Parigi, 6 ottobre 2015
(AP Photo/Francois Mori)
La sfilata di Chanel in un finto aeroporto, durante la settimana della moda di Parigi, 6 ottobre 2015 (AP Photo/Francois Mori)

Martedì 6 ottobre è il penultimo giorno della settimana della moda di Parigi, durante la quale vengono presentate le collezioni femminili primavera/estate 2016. E in mattinata ha sfilato Chanel, con la collezione disegnata dal celebre stilista tedesco Karl Lagerfeld – che ha 85 anni, lavora con Chanel dal 1983 ed è anche fotografo, direttore creativo di Fendi, ed ha una propria etichetta personale – il quale ha scelto ancora una volta come location per la sua presentazione il Gran Palais di Parigi, allestito però come se fosse un aeroporto.
Gli inviti erano stampati su biglietti aerei e c’erano carrelli per le valigie, imbarchi, gate, tabelloni con gli orari, tutti firmati “Chanel Airlines”.

Quest’anno l’ex modella Cara Delevingne non ha sfilato – aveva annunciato il suo ritiro ad agosto e questa sembra essere un’ulteriore conferma della sua decisione – ma era seduta in prima fila con il giovane nipote di Lagerfeld, Hudson Kroenig, ad aspettare che lo stilista “uscisse” per il saluto al pubblico. Delevingne è una delle modelle preferite di Lagerfeld e per diversi anni ha chiuso con lo stilista le sue sfilate.
Ad assistere c’erano anche la tennista Maria Sharapova e l’attrice e cantante francese Vanessa Paradis.

Chanel family reunion with Karl, Cara, and little Hudson 👪! #ChanelAirlines #fromwhereisit

Un video pubblicato da Eva Chen (@evachen212) in data:

Il tema degli aerei sembra essere caro a Karl Lagerfeld: per la collezione primavera/estate 2012 aveva inscenato la sfilata in una replica del corridoio di un aeroplano e già nel 2008 aveva presentato la Chanel Cruise Collection nell’hangar dell’aeroporto di Santa Monica, con le modelle che scendevano da un aereo (vero) con il logo di Chanel.

Ultimamente l’ambientazione delle sfilate di Chanel è sempre molto teatrale: a luglio, per la presentazione delle collezioni d’Alta Moda la sfilata era ambientata in un grande casinò, dove varie ospiti “giocavano” ai tavoli parlando tra loro (c’erano Julianne Moore, Kristen Stewart, Rita Ora, Vanessa Paradis e sua figlia), mentre le modelle sfilavano intorno.
A marzo dell’anno scorso invece la casa di moda aveva aveva allestito un finto supermercato di Chanel, sempre per la presentazione della collezione autunno/inverno: le modelle sfilavano in corsie affiancate da scaffali pieni di bottiglie, scatole di tè e biscotti Chanel.

Sul Washington Post, Robin Givhan spiega che tutti vedono qualcosa di speciale nella casa di moda – dai broker alle celebrità di Hollywood, dai nuovi ricchi alla classe media – ed è, secondo Givhan, perché nessuno ha permeato la nostra cultura quanto Chanel. Il merito è di Karl Lagerfeld, che è stato in grado di evitare che la casa rimanesse bloccata nella sua tradizione, rimanendo però sempre fedele al suo stile, con i suoi segni distintivi: il tweed e la lana, le giacche morbide senza colletto, le gonne svasate, fili di perle e i gioielli portati come fossero bigiotteria, il logo stesso.

Più di tutto, Lagerfeld tratta Chanel come un’entità vivente, in cambiamento. Non così preziosa da dover essere tenuta sotto una campana di vetro, ma assicurandosi che l’azienda protegga gelosamente il suo marchio distintivo. Chanel lo ha situato nella nostra immaginazione connettendolo con cose a che tutti noi possiamo capire. È esperto nel costruire sceneggiature che sono contemporanee e popolari – che parlano delle nostre abitudini di consumo, della nostra politica e del nostro stile di vita sempre più sconclusionato. I suoi show sono irresistibili per la folla di Instagram non solo perché i suoi scenari sono appariscenti, ma perché in essi riconosciamo qualcosa di noi. Sono locations familiari, non terre immaginarie.