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  • Domenica 4 ottobre 2015

L’ultima volta che la Russia intervenne in una guerra in Medio Oriente

Il Washington Post racconta la storia dell'intervento russo in Yemen nel 1967, e le somiglianze con quello che sta succedendo oggi in Siria

(AP Photo/Staff/Faas)
(AP Photo/Staff/Faas)

Da qualche giorno la Russia ha cominciato a bombardare in Siria alcuni gruppi che stanno combattendo contro il regime siriano di Bashar al Assad, suo alleato. La notizia degli attacchi russi è stata molto ripresa e commentata sulla stampa internazionale, sia perché l’intervento russo rischia di complicare ancora di più una guerra già molto ingarbugliata, sia perché non è usuale vedere le forze armate russe impegnate così lontano dai propri confini nazionali (sono intervenute in Georgia nel 2008 e più di recente in Ucraina, due territori comunque vicini alla Russia). È infatti la prima volta dai tempi dell’Unione Sovietica che la Russia interviene in una guerra così lontana. Adam Taylor ha raccontato sul Washington Post cosa successe l’ultima volta: una storia oramai quasi dimenticata, scrive Taylor, che «può insegnarci alcune lezioni valide ancora oggi».

Nel 1962 in Yemen erano in corso quattro complotti diversi per detronizzare l’impopolare re dell’epoca, Ahmad, noto ai suoi nemici con il nomignolo di “vecchio diavolo” e conosciuto per il suo motto: «In tempi di crisi taglia qualche testa». Nel settembre di quell’anno, Ahmad morì nel sonno e diverse fazioni di cospiratori, per la maggior parte ufficiali dell’esercito, cercarono di sfruttare il momento di transizione per prendere il potere. L’Egitto – che da anni manovrava per organizzare un colpo di stato – riuscì a riconciliare le diverse fazioni e, grazie al suo aiuto, i cospiratori riuscirono a prendere il potere. Nel giro di poco tempo cominciò però una guerra civile: da una parte c’erano i militari e il loro governo repubblicano, dall’altra i realisti fedeli alla monarchia. Il governo egiziano cominciò a mandare migliaia di soldati in Yemen e la guerra civile divenne famosa come il “Vietnam dell’Egitto” per il numero elevatissimo di morti egiziani (più di 20 mila in cinque anni). Come la guerra in Siria di oggi, anche quella in Yemen fu soprattutto una cosiddetta “guerra per procura”, con le varie potenze regionali che spalleggiavano le diverse fazioni in lotta.

Arabia Saudita, Giordania e Regno Unito inviarono aiuti e soldati ai realisti, mentre l’Egitto aiutò i repubblicani. Molto presto intervenne anche l’Unione Sovietica. Taylor racconta che il leader sovietico Nikita Chruščëv inviò un telegramma al presidente dello Yemen che diceva: «Qualunque atto di aggressione nei confronti dello Yemen sarà interpretato come un atto di aggressione nei confronti dell’Unione Sovietica». Era una dichiarazione molto impegnativa a cui Chruščëv non tenne fede, almeno per i primi anni di guerra. L’aiuto sovietico ai repubblicani arrivò soprattutto sotto forma di armi e altri equipaggiamenti. Quando però nel 1967 l’Egitto ritirò le sue forze, Chruščëv decise di aumentare il coinvolgimento russo nella guerra.

L’Unione Sovietica cercò di nascondere il suo intervento per evitare che altri stati potessero aumentare il loro impegno nella guerra. Aerei e piloti russi furono inviati in Yemen, mentre soldati russi con indosso uniformi egiziane furono assegnati alle postazioni di artiglieria nelle retrovie. La strategia non funzionò a lungo: un pilota russo fu abbattuto e alcune postazioni di artiglieria distrutte e i loro serventi russi furono uccisi. Spaventati dalle possibili conseguenze dell’intervento, i russi ritirarono le loro forze, ma grazie alla divisioni tra i realisti, i repubblicani riuscirono comunque a vincere la guerra. Fu l’ultimo intervento russo in Medio Oriente, con l’eccezione dei militari che rimasero in Egitto con funzioni di addestramento durante la guerra di attrito tra Israele ed Egitto tra il 1969 e il 1970.

Taylor ha intervistato Mark Katz, un professore della George Mason University, secondo cui ci sono molte somiglianze tra l’intervento in Yemen degli anni Sessanta e quello appena cominciato in Siria: «Probabilmente Putin vuole di impedire la caduta di un regime alleato e spera che le divisioni nel campo dei suoi nemici impediscano loro di concentrare i loro sforzi sulla sconfitta del regime». Un altro episodio interessante è il fatto che i repubblicani yemeniti riuscirono a raggiungere un accordo di pace e a terminare vittoriosamente la guerra soltanto dopo che un secondo colpo di stato rovesciò il presidente dello Yemen, quello che inizialmente gli stessi repubblicani avevano messo al potere, e lo sostituì con una leadership più moderata. Ancora oggi non è chiaro se l’Unione Sovietica ebbe un ruolo diretto in quello che successe, ma secondo Katz: «Putin farebbe bene a riflettere se non sia più facile proteggere i suoi alleati all’interno dell’esercito siriano se qualcosa del genere succedesse anche al dittatore Siriano Bashar al Assad». In altre parole, secondo Katz, a Putin converrebbe eliminare Assad per facilitare un accordo di pace in Siria, come 40 anni fa accadde in Yemen.