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  • Domenica 4 ottobre 2015

Il fratello di Sherlock Holmes

Kareem Abdul-Jabbar – ex grande campione della NBA, editorialista e attivista – ha scritto un romanzo su Mycroft Holmes

di James Hughes – Slate

Sir Arthur Conan Doyle, ideatore di Sherlock Holmes. (AP Photo/File)
Sir Arthur Conan Doyle, ideatore di Sherlock Holmes. (AP Photo/File)

Oltre dieci anni prima di inventare i personaggi di Peter Pan e Capitan Uncino, J.M. Barrie era capitano di una squadra di cricket alla ricerca di un po’ di magia sul campo. Nel 1890 mise insieme una squadra amatoriale chiamata “Allahakbarries”, formata da un gruppo di scrittori che si alternavano nelle partite: tra loro c’erano anche A.A. Milne e P.G. Wodehouse. In un libretto che girava tra i membri della squadra, Barrie dava valutazioni anche sulla star della squadra, Arthur Conan Doyle, noto come “il colosso” tra i suoi compagni di squadra e come il creatore di Sherlock Holmes nel resto del mondo. «Doyle. Un grande lanciatore. Capisce le debolezze di un battitore dal colore del fango sotto le sue scarpe».

Mentre inseguiva diverse vocazioni – medico, chirurgo di bordo sulle navi, giallista – Doyle rimase sempre un appassionato atleta. Giocava a golf, andava in bicicletta e sciava sulle stesse piste svizzere che poi inghiottirono temporaneamente anche Holmes, la cui fama mondiale era diventata tanto gravosa a Doyle che provò a ucciderlo. Come giornalista sportivo si occupò delle Olimpiadi del 1906 a Londra per il Daily Mail, concentrandosi soprattutto sulla maratona e la corsa. Ma il cricket era la sua grande passione. È sostenuto da molti che il nome Sherlock contenga un riferimento in codice al cricket: un’amalgama dei nomi di due grandi giocatori, Mordecai Sherwin e Frank Shacklock.

Questa prospettiva dell’atleta manca nella nuova mania per Sherlock che sta invadendo la cultura popolare. Lo sport, ha scritto Doyle nella sua autobiografia, «dà forza e salute, ma su tutto dà un certo equilibrio mentale senza il quale un uomo non è completo». A occuparsi di questo caso particolare è stato il grande campione della NBA Kareem Abdul-Jabbar, che, con l’aiuto di Anna Waterhouse, ha scritto il romanzo Mycroft Holmes, che racconta le avventure del fratello più grande di Sherlock, Mycroft, che anche secondo il grande detective è la vera mente superiore della famiglia.

Al telefono dalla sua casa di Los Angeles, Abdul-Jabbar parla in un modo tranquillo che indica un certo razionamento delle energie. Solo quest’anno ha subìto un quadruplo intervento di bypass, pubblicato due libri, scritto periodicamente una rubrica su Time, raccolto molte interviste – inclusa una con il procuratore generale Eric Holder – per un documentario sulla razza a cui sta lavorando, ha incontrato Barack Obama alla Casa Bianca per annunciare un’iniziativa per raccogliere dati genetici, e recentemente ha preso di mira Donald Trump nei suoi editoriali per il Washington Post. Ma ha trovato il tempo di parlare di Holmes.

«Il mio interesse per i fratelli Holmes è nato quando ho capito che avevo alcune affinità con il loro modo di vedere e guardare il mondo. Ero appena ventenne quando ho iniziato a giocare da professionista e sapevo che avevo molto da imparare sul mondo. Passavo molto tempo sugli aerei, negli aeroporti e nelle camere d’albergo e cominciai a usarne più che potevo per leggere», racconta. Le storie di Holmes, in particolare, potevano insegnargli qualcosa: «Tutti gli atleti studiano i loro avversari in cerca di debolezze che possono essere sfruttate, anche mentre si gioca», spiega Abdul-Jabbar, che applicava il potere della deduzione per preparare le partite e costruiva delle specie di schede sui suoi avversari. «Cercavo di osservare il linguaggio corporeo. Gli infortuni nello sport sono come la marmellata per il burro di noccioline. Sono facce della stessa medaglia. Per questo lavoriamo così duramente per nascondere ogni dolorino e ogni debolezza fisica alle altre squadre. Tuttavia, osservando le posture, gli sguardi o la posizione della testa dei miei avversari, riuscivo a individuare un infortunio che stavano cercando di nascondere. E poi sfruttavo quel vantaggio sul campo».

Nel libro Mycroft Holmes gli eventi sportivi sono centrali per la storia, dalla scena iniziale alle corse dei cavalli fino al duello di boxe tra i fratelli Holmes, da cui Sherlock esce con il naso sanguinante. Il Mycroft di Abdul-Jabbar è molto lontano da quello casalingo di Doyle che compare in diversi episodi di Sherlock Holmes. Abdul-Jabbar ha deciso di immaginare Mycroft come un giovane vigoroso di 20 anni, mentre decenni prima era più probabile sentirlo ragionare da una comoda poltrona, come dice Sherlock nelle Avventure dell’interprete greco. Sherlock si lamenta che suo fratello non mostri “nessuna ambizione” e che non voglia usare la sua mente per risolvere casi reali (successivamente le storie di Doyle svelano che Mycroft sia un potente, anche se discreto, agente del governo). Abdul-Jabbar dice di essere stato attratto dalla possibilità di immaginare un giovane carismatico – un “giovane Marlon Brando” invece che un “vecchio Marlon Brando”, dice – e dall’opportunità che gli dava di indagare in profondità la storia dell’epoca vittoriana e dell’espansione coloniale dell’Inghilterra. «È stato un tempo in cui il paese stava solo cominciando a imparare cosa volesse dire essere una “potenza mondiale”. Ne riconoscevano i vantaggi, ma anche gli enormi svantaggi. È uno scenario grandioso per Holmes perché le persone spesso non li legano insieme. Si pensa che Holmes e il suo mondo fossero diversi, quando in verità, in quanto super potenza mondiale, l’Inghilterra controllava moltissimo e aveva un’enorme influenza», dice Abdul-Jabbar.

Il risultato del cambio di temporalità nel libro di Abdul-Jabbar è che Sherlock è all’università e resta quasi del tutto fuori dalla storia di Mycroft Holmes. Abdul-Jabbar ha raccolto la sfida di raccontare una storia sui fratelli Holmes in cui la grande star è ai margini. È stato attratto da Mycroft in parte per via del mistero intorno al suo lavoro da contabile, che nell’ultima apparizione di Mycroft nella storia L’avventura dei progetti Bruce-Partington si scopre essere una copertura. «A sentire Sherlock, Mycroft Holmes a 40 anni in pratica è il governo britannico. Volevamo vedere dove fosse cominciato tutto quel potere esercitato da dietro le quinte», dice Abdul-Jabbar. Abdul-Jabbar ha anche aderito alla struttura di Doyle di fornire una spalla al protagonista, una sorta di Watson, e ha ideato Cyrus Douglas, un espatriato di Trinidad di 40 anni la cui amicizia e co-dipendenza con Mycroft diventa il fondamento della storia e il perno intorno a cui ruotano gli eventi.

Se si tolgono le argute descrizioni dei farabutti, degli imbroglioni e delle menti criminali, le storie di Holmes sono sempre, alla radice, uno studio sul cameratismo maschile. I personaggi principali di solito si scambiano storie di guerra, discutono degli intrighi sui giornali e fumano insieme. Mycroft, in particolare, era famoso per le ore passate a bighellonare al Diogenes Club, un circolo per gentiluomini “asociali” di Londra che nonostante la loro misantropia cercano la compagnia dei loro simili. Abdul-Jabbar aggiunge una nuova dimensione a queste amicizie spensierate, quando Cyrus teme che il colore della sua pelle spinga i passanti a crederlo un servitore di Mycroft e non un suo pari.

Vincitore per sei volte del premio come miglior giocatore della NBA, Abdul-Jabbar aveva pochi compagni che condividessero la sua passione per la lettura e il berretto alla Sherlock Holmes. «Mi sarebbe piaciuto molto avere un circolo dei libri con i miei compagni di squadra, ma le cose non andavano così. Quando uscivamo per rilassarci cercavo di condividere con i miei compagni di squadra il mio amore per il jazz. I libri erano più una cosa privata, un modo per capire chi ero e quale fosse il mio posto nel mondo».

La carriera da scrittore di Abdul-Jabbar è iniziata prima di quella da giocatore di basket, quando da ragazzo lavorava come giornalista per un giornale di arte di Harlem diretto da Kenneth Clark occupandosi degli eventi culturali del suo quartiere. «Lo scrittore che mi aveva colpito di più all’inizio – racconta Abdul-Jabbar – era James Baldwin. Era di Harlem anche lui e parlava dell’America e di quello che capivo attraverso la mia vita: le strade, i problemi e gli aspetti più importanti di quello che stava succedendo in quegli anni nel movimento per i diritti civili».

Una certa esplorazione delle questioni razziali in America è presente anche in Mycroft Holmes. Dopo che Mycroft e Cyrus lasciano Londra, nei primi capitoli, la storia esplora la tratta degli schiavi in America e la colonizzazione delle lontane isole caraibiche. «Tutto questo coesisteva alla Londra di Sherlock Holmes, ok? Questo è quello che facevano le persone, quando parli delle colonie. Quello che succedeva a Trinidad stava succedendo in tutto il mondo. C’erano inglesi da tutte le parti. A quel punto si poteva davvero dire che il sole non tramontasse mai sull’Impero Britannico».

Una nuova storia di Mycroft è in preparazione, dice Abdul-Jabbar. Non è ancora sicuro di quanto lo sport avrà a che fare con i prossimi episodi, ma insiste molto sulla sua conoscenza dell’amore di Doyle per lo sport e, in particolare per il cricket. Quando ho proposto la teoria per cui il personaggio di Watson nei libri di Doyle assomiglia un po’ a un commentatore sportivo – dando il via alla storia in modo quasi casuale, mettendo insieme fatti apparentemente slegati e sottolineando i dettagli che il lettore potrebbe aver perso – Abdul-Jabbar si è messo a ridere: «Watson lo deve fare, perché alcune persone sono confuse».

Anche se Mycroft Holmes è scritto in terza persona, Abdul-Jabbar apprezza la forza della voce narrativa di Watson. «Watson – dice – capisce che tutti sono molto eccitati da Holmes e vogliono sapere ogni cosa, quindi lui sa di avere l’attenzione di tutti. Questa è sempre una cosa che ti motiva quando stai scrivendo. Se sai che le persone vogliono sapere tutto su questo personaggio e tu sei l’unico ad avere le informazioni, ti trovi ad avere una voce unica e potente». Avendo studiato il mondo di Holmes da lontano per gran parte della sua vita, Abdul-Jabbar spera che Mycroft sia l’uomo aperto che nessuno si sarebbe aspettato.

©Slate-2015