Perché è sbagliato controllare gli SMS dei figli

Leggerli sistematicamente fa più danni di quanto si pensi? Quando bisogna intervenire? Qualche parere informato in un articolo del Washington Post

di Michelle Icard

Di recente ho partecipato – in quanto educatrice e autrice del libro Middle School Makeover – a un incontro pubblico sui ragazzi e la tecnologia. Una madre in platea ha condiviso la sua esperienza, parlando di suo figlio. Ha spiegato che tra lei e suo figlio c’era un patto: siccome lui era ancora un bambino e non era abituato a scrivere messaggi agli amici, lei controllava attraverso il suo iPad ciò che lui scriveva e riceveva. La donna ha spiegato che una sera la conversazione tra il ragazzo e i suoi amici era diventata  “inappropriata” e suo figlio aveva scritto agli amici: «ricordatevi che mia mamma legge tutto questo». I ragazzi avevano allora aumentato il carico, rendendo ancora più inappropriato il loro linguaggio. La donna ha raccontato che a quel punto suo figlio aveva deciso di chiederle “cosa dovrei fare?”. Lei gli suggerì di mettersi a cenare, abbandonando la conversazione.

Ascoltando questa storia ho pensato: «Vittoria!». Il bambino ha imparato a usare nel modo giusto un nuovo strumento, parlandone con sua madre e tirandosi indietro quando le cose non andavano più bene. Ancora meglio: la madre non ha ingigantito il problema, e questo lascia pensare che suo figlio continuerà a fidarsi di lei. Quando si parla di imparare a usare un nuovo strumento – che sia un coltello tascabile o un’app di messaggi – i genitori dovrebbero come prima cosa insegnare e supervisionare la sicurezza dei figli. Col tempo dovrebbero però imparare a farsi da parte.

Dopo aver raccontato la sua storia, la madre ha chiesto: «Devo dire alle altre madri che i loro figli si sono comportati male?». “Inappropriato” può voler dire molte cose. Se i ragazzi di quel gruppo stavano pensando di ferire o umiliare qualcuno allora sì, la madre avrebbe dovuto parlarne con i genitori di quei ragazzi. Se invece quei ragazzi erano solo volgari e rozzi, allora i loro genitori non andavano avvisati.

Vi ricordate quando da ragazzi passavate ore al telefono con i vostri amici? Nessun ragazzo lo fa più perché i messaggi si sono imposti come la forma dominante di comunicazione tra adolescenti e preadolescenti. Se mia madre avesse ascoltato quello che dicevo al telefono quando avevo quell’età, avrebbe ascoltato tantissime cose inappropriate. Ero giovane e socialmente inesperta: a volte ero cattiva, a volte ero volgare, spesso dicevo cose fuori luogo. Ogni adolescente scopre e sperimenta i propri confini: è così che si inizia a crescere. La nausea allo stomaco o il colpo al cuore che sentivo attraversando quei confini mi hanno aiutata a imparare dai miei errori.

Quando ci mettiamo a controllare le interazioni sociali dei nostri figli, stando in massima allerta su qualsiasi errore possano fare, interferiamo con la bussola che determina il loro imbarazzo e il loro senso di colpa. Se mia madre avesse letto le mie conversazioni evidenziando ogni mio comportamento sbagliato, probabilmente non avrei imparato a leggere e seguire la mia bussola morale. Penso anche che mi sarei arrabbiata con lei perché arrabbiarsi è più facile che imbarazzarsi. Avrei concentrato i miei sentimenti sul senso di tradimento e di ingiustizia, senza concentrarmi sul mio senso di colpa e quindi senza imparare niente.

Un altro invitato alla discussione non era d’accordo con me: «Se i miei figli si comportassero nel modo sbagliato, lo vorrei sapere». Al che ho pensato: “davvero?”. Perché abbiamo la necessità di sapere tutto quello che i nostri figli pensano, dicono o fanno? Perché non hanno diritto alla stessa indipendenza che abbiamo avuto noi? Perché non possono fare errori e ottenere successi da soli, senza che noi dobbiamo monitorare, controllare, e valutare ogni loro singola mossa?  I preadolescenti sono portati al rischio, sia a livello biologico che sociologico, ed è giusto così.

Se un bambino dovesse essere in una situazione di vero pericolo (fisico, emotivo o morale) allora un adulto dovrebbe di sicuro aiutarlo. “Aiutare” significa a volte dirlo ad altri adulti, altre volte intervenire direttamente per far capire al bambino cosa sta sbagliando o cosa ha fatto di male. Se sono in vacanza e tu vedi che qualcuno fa una festa abusiva a casa mia, vorrei di sicuro che tu mi dicessi che qualcuno sta facendo una festa abusiva a casa mia: ma vorrei soprattutto che tu entrassi in casa mia e fermassi la festa. Se mio figlio mi dicesse che va a vedere Inside Out al cinema e poi invece va a vedere Terminator, non vorrei saperlo. Se qualcuno lo vedesse non dovrebbe venire a dirmelo: sarebbe meglio che andasse da lui e gli sussurrasse “fa davvero paura”. Basterebbe quello per indirizzare nella giusta direzione la sua bussola morale.

Crescere significa soprattutto imparare dagli errori. Poco tempo fa ho assistito a un’intervista al proprietario della piccola squadra di baseball del mio paese. Ha detto, parafrasandolo, che agli allenatori capita di dover fare delle scelte che non sono fatte in funzione della vittoria: certe scelte sono fatte per far crescere i ragazzi. In altre parole, un allenatore deve lasciar sbagliare i suoi giocatori, così che possano imparare qualcosa. Prima di andare a giocare in qualche squadra più grande e più forte, i giocatori di baseball hanno così tempo di capire quello che gli serve capire.

Nel nostro ruolo di genitori non dobbiamo pensare alla singola partita: dobbiamo pensare al campionato e ai campionati che verranno. Vale la pena sbagliare qualche partita, se serve a insegnare ai tuoi figli come vincerne da soli in futuro.

© Washington Post 2015