• Moda
  • Giovedì 17 settembre 2015

Primark in Italia

Cos'è la catena di negozi "fast fashion" che dopo grandi successi europei l'anno prossimo apre anche qui, a far concorrenza a Zara e H&M

(Paul Marotta/Getty Images for Primark)
(Paul Marotta/Getty Images for Primark)

Primark, una catena irlandese di abbigliamento low cost di grande successo in molti paesi europei ha annunciato che aprirà nell’estate 2016 il suo primo negozio in Italia. Il Guardian ha aggiunto che i negozi aperti in Italia dovrebbero essere tre – dopo che molte voci si erano diffuse per mesi – citando John Bason, direttore finanziario di Associated British Foods, la holding che controlla Primark (i cui negozi in Irlanda si chiamano Penneys). Il primo negozio dovrebbe essere ad Arese, poco a nord di Milano, ha anticipato il Corriere della Sera. Dopo Regno Unito, Germania, Francia, Olanda, Paesi Bassi, Portogallo e Austria, l’apertura in Italia era “il passo successivo più logico da fare” e secondo le analisi fatte dal brand, quello italiano è potenzialmente il secondo mercato più grande in Europa per Primark, subito dopo la Germania. Il 10 settembre intanto l’azienda ha aperto il suo primo punto vendita negli Stati Uniti, un negozio di oltre 21mila metri quadrati a Boston, che sarà seguito da altre sette aperture negli Stati Uniti.

Primark è un brand irlandese molto forte nel settore cosiddetto fast fashion, molto prospero negli ultimi anni: marchi a basso costo che propongono un tipo di abbigliamento quotidiano, con un suo stile ma allo stesso tempo accessibile a tutti, come i più noti – almeno per gli italiani – Zara e H&M. Ma Primark si distingue per essere molto più economico. Secondo l’istituto di ricerche Sanford C. Bernstein, ad esempio, in Inghilterra il prezzo medio di un abito da donna di H&M è attorno ai 14,70 euro, mentre da Primark è sui 5,30 euro, quasi tre volte di meno. Il primo negozio fu aperto nel 1969 a Dublino da Arthur Ryan e si chiamava appunto Penneys. Nel 1973 aprì a Derby per la prima volta nel Regno Unito e iniziò così la sua espansione extra irlandese. Ora è di Associated British Foods (di proprietà al 55% della famiglia Weston), società che si occupa però soprattutto di alimentari. Dal 2006 Primark ha iniziato ad allargare il proprio business in Europa, aprendo il primo negozio in Spagna: oggi ha un totale di circa 296 punti vendita. Gli affari per la catena vanno bene e come ha scritto Reuters in un articolo che dava la notizia dell’arrivo di Primark negli Stati Uniti, tra il 2007 e il 2013 i suoi guadagni sono passati da 233 a 514 milioni di sterline, per un giro d’affari che ogni anno tocca i 4,3 miliardi di sterline. Secondo i dati di Bloomberg, le vendite stanno andando bene anche quest’anno e nei primi mesi del 2015 sono aumentate del 9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

L’Economist spiega che tra i motivi del successo di Primark c’è «un’offerta irresistibile: abiti alla moda a prezzi sorprendentemente bassi. Il risultato è un nuovo e sempre più veloce tipo di fast fashion, che incoraggia i consumatori a comprare pile di abiti, gettandoli dopo averli indossati un paio di volte, e a tornare per acquistarne di nuovi». Maureen Hinton dell’agenzia di consulenze Conlumino, aggiunge che Primark «ha una combinazione vincente: abiti belli, negozi invitanti e soprattutto prezzi bassissimi». Prezzi che permettono all’azienda di puntare su una vendita veloce e in grande quantità, e che sono possibili, come conferma lo stesso Bason, grazie a una logistica snella e a pochi investimenti sul marketing e sulla pubblicità tradizionale (televisione e giornali), preferendo l’uso dei social network. L’azienda punta quindi sul volume, seguendo la teoria secondo la quale più un capo è economico, più i clienti ne acquisteranno. In sostanza tengono i prezzi molto bassi per invogliare i clienti a comprare di più, ottenendo buoni guadagni su grandi quantità di merce venduta. Breege O’Donoghue, direttore del business development di Primark, ha detto a Reuters: «vendiamo 300 milioni di paia di calzini l’anno e circa 150 milioni di t-shirt».

Nei negozi Primark è possibile trovare una varietà di prodotti che vanno dall’abbigliamento per uomo, donna e bambino, alle scarpe, passando per l’intimo, l’arredo casa e i prodotti di bellezza, per arrivare ai dolciumi. I costi bassi sono legati anche alla produzione. Da questo punto di vista, come fa notare Reuters, Primark è la sintesi perfetta tra H&M e Zara. Come il primo, mantiene prezzi molto bassi producendo in Asia e come il secondo introduce continuamente nuove collezioni per far venire più spesso i clienti nei negozi. In un negozio Primark, infatti, il 10 per cento delle linee è rinnovato ogni settimana. A differenza di H&M che realizza le collezioni con due anni d’anticipo, però, Primark produce i capi solo sei mesi prima della messa in vendita, riuscendo a seguire meglio le tendenze. La linea basic viene fatta in Asia e i tempi di produzione sono circa di novanta giorni, mentre le altre linee sono prodotte in Turchia o nell’Europa dell’Est e sono pronte in due mesi. Un capo Primark costa meno anche perché il suo prezzo viene ricaricato meno rispetto ad altri brand. Lo spiega Bason, che prende come esempio una maglietta cucita nella stessa fabbrica in Bangladesh da Primark e da altre aziende e spiega che la t-shirt di Primark costa al cliente finale 6 sterline, mentre quella di un rivenditore medio ne costa 35 e quella firmata da un designer ben 60. Di fatto però, sostiene Bason, è lo stesso prodotto.

Nel 2013 Primark era tra le aziende che produceva nella fabbrica di Rana Plaza in Bangladesh che crollò uccidendo 1100 persone, e fu tra quelle che scelsero di risarcire le famiglie delle vittime, per un totale di 14 milioni di euro. In un articolo sul Guardian, però, Anna McMullen di un’associazione che tutela di diritti dei lavoratori sfruttati, Labour Behind the Label, ha scritto che Primark dovrebbe ripensare al suo modello di business: «portano avanti un piano di produzione che ha effetti negativi sui diritti dei lavoratori in tutto il mondo. Il modo in cui loro e molti dei loro principali competitor cercano posti sempre più economici e con salari sempre più bassi per diminuire i prezzi dei propri prodotti, ha avuto un effetto molto negativo nell’intera industria».

L’apertura italiana, ha detto Bason, è stata incentivata ulteriormente dai soddisfacenti risultati ottenuti in Francia, dove Primark ha creato i suoi primi negozi un anno e mezzo fa.
Per quanto riguarda l’apertura di Primark negli Stati Uniti, Reuters scrive che se il brand riuscirà a competere con i suoi concorrenti diretti, come Target e Forever 21, ma anche altri marchi del fast fashion come American Eagle, Aeropostale, Gap, J. Crew e Abercrombie & Fitch – che per altro stanno subendo una forte crisi nelle vendite – allora potrà davvero cambiare le cose nel mercato americano dell’abbigliamento, che ha un giro d’affari di oltre 200 miliardi di dollari. L’azienda dovrà considerare però anche una serie di limiti, come la difficoltà di inserimento per le aziende straniere nel mercato americano, la necessità di costruire degli stabilimenti di stoccaggio delle merci direttamente negli Usa e, per quanto riguarda la vendita online, la difficoltà di mantenere prezzi così bassi dei capi senza considerare le spese di spedizione in un territorio così grande.