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  • Venerdì 14 agosto 2015

Si vota per il nuovo leader del Labour

Nel Regno Unito è in vantaggio il candidato più di sinistra, Jeremy Corbyn; gli altri chiedono di scegliere tutti tranne lui

Jeremy Corbyn
(Matthew Horwood/Getty Images)
Jeremy Corbyn (Matthew Horwood/Getty Images)

Sono iniziate oggi le votazioni per eleggere il prossimo leader del partito laburista britannico, un processo piuttosto lungo che terminerà il 10 settembre; il vincitore sarà annunciato il 12 settembre. Le elezioni sono state indette dopo le dimissioni di Ed Miliband, causate dalla rovinosa sconfitta del Labour alle elezioni parlamentari del maggio scorso.

I candidati sono quattro, due uomini e due donne:

– Andy Burnham, che è stato ministro ombra alla Sanità;
– Yvette Cooper, ministro ombra degli Interni negli ultimi quattro anni e moglie di Ed Balls (ex ministro ombra delle Finanze);
– Liz Kendall, considerata il candidato più moderato;
– Jeremy Corbyn, veterano del partito (ha 66 anni), dalle posizioni molto di sinistra

Al momento sembra che Corbyn sia decisamente in vantaggio: secondo un recente sondaggio condotto da YouGov per il Times su 1.400 elettori, Corbyn ha il 53 per cento dei consensi e 32 punti di vantaggio sul secondo, Andy Burnham.

Jeremy Corbyn – che è sostenuto tra gli altri da Unite e Unison, i più grandi sindacati britannici – è definito da molti un laburista “vecchio stampo”: si oppone all’iniziativa privata nei servizi pubblici, vorrebbe nazionalizzare le ferrovie, aumentare il salario minimo, tassare di più le grandi imprese, e ha preso spesso posizioni a favore dei palestinesi e contro l’intervento del Regno Unito in Iraq, e ultimamente sull’Ucraina tende a dare più ragione alla Russia che all’Unione Europea. È contrario alle politiche di austerità, ha promesso di non tagliare e anzi proteggere il welfare aumentando le tasse ai più ricchi, e di porre fine al programma nucleare britannico. In molti lo descrivono come un “ribelle”, poiché ha spesso votato in Parlamento contro la linea del partito.

Corbyn è riuscito a candidarsi per un pelo – ottenendo all’ultimo momento che 36 parlamentari sostenessero la sua candidatura – ma da allora è diventato sempre più popolare, convincendo anche nuove persone a iscriversi al partito. A meno di essere parlamentari o eurodeputati laburisti, per partecipare alle elezioni è infatti necessario essere iscritti al partito o ad associazioni affiliate come i sindacati. Dopo la sconfitta delle elezioni parlamentari, al Labour si sono iscritte 80 mila persone, per un totale di 282 mila. A queste si aggiungono 70mila che si sono iscritte come “sostenitori registrati”, una formula che consente di partecipare al congresso pagando tre sterline, con la promessa di sostenere gli obiettivi e i valori del Labour. Ci sono infine 92 mila persone che fanno parte delle associazioni affiliate.

La candidatura di Corbyn attira soprattutto gli iscritti al Labour di lunga data e i suoi sostenitori più recenti, mentre preoccupa gran parte dell’establishment del partito che teme di perdere gli elettori più moderati e centristi e in ultima istanza le elezioni, visto come già la linea di Ed Miliband – più di sinistra che negli ultimi vent’anni di storia del Labour – è stata sconfitta. Ieri si è apertamente schierato contro Corbyn – ma non era la prima volta – anche l’ex primo ministro britannico e leader del Labour Tony Blair, che ha scritto un articolo sul Guardian in cui invita gli elettori a votare per chiunque ma non lui. Secondo Blair la leadership di Corbyn porterebbe il Labour «alla rovina, se non al totale annientamento»: «il partito laburista – scrive – è in un pericolo mortale oggi più che in qualsiasi altro momento dei suoi oltre 100 anni di esistenza». Le prossime elezioni non decideranno soltanto il prossimo leader del partito – che «sta procedendo a occhi chiusi e braccia distese verso il precipizio» – ma stabiliranno, scrive Blair, se il partito sarà ancora un partito di governo.

Blair scrive che la visione del mondo di Corbyn e le soluzioni che propone ai problemi di oggi sono state ampiamente superate dalla storia: sono quelle che il partito proponeva ostinatamente negli anni Ottanta, finendo per consegnare il paese ai Conservatori di Margaret Thatcher. Il partito decise di abbandonare quelle soluzioni, scrive Blair, perché «la maggioranza dei britannici pensava che non funzionavano». Gli elettori, dice sempre Blair, «non pensano che i loro problemi saranno risolti con un controllo statale vecchia maniera che riuscirà a migliorare la loro vita e la società; non pensano che rompere unilateralmente con la NATO sia sensato; e sanno che di questi tempi un partito senza un progetto serio per ridurre il debito non aspira seriamente al governo». Blair accusa sostanzialmente Corbyn di voler ignorare la trasformazione radicale che Blair stesso operò nel Labour, rendendolo più moderno e sensibile alle esigenze del mercato, e rivolgendosi alle classe media. Blair dice anche che la vittoria di Corbyn renderebbe le persone inizialmente «contente, felici e incuriosite. Ma col passare del tempo, quando le politiche dei Conservatori si faranno più dure, aumenterà il bisogno di un’opposizione efficace – e le opposizioni sono efficaci solo se hanno una speranza di vincere. A quel punto l’umore del pubblico si trasformerà in rabbia».

I sostenitori di Corbyn hanno risposto dicendo che il Labour sta finalmente tornando ai suoi valori originari, dopo che Blair l’aveva snaturando aprendo la strada a vent’anni di politiche “neoliberiste”. Corbyn ha detto che il partito sta attraversando il suo «più grande processo democratico di sempre», con nuovi giovani iscritti che prima non si erano mai interessati di politica: «Non dovremmo essere felici?». Nel frattempo anche Cooper e Kendall si sono schierate contro di lui: Cooper ha detto che le sue politiche sono poco credibili e che «le sue sono soluzioni vecchie a problemi vecchi»; Kendall ha invitato i suoi elettori a votare «chiunque tranne Corbyn». I laburisti moderati sperano che anche gli ex leader del partito Gordon Brown e Ed Miliband, figure meno controverse di Blair, si schierino contro Corbyn, mentre circola la voce che i più centristi di loro possano uscire dal partito se Corbyn dovesse vincere.

Nonostante il grande sostegno a Corbyn mostrato dai sondaggi, molti osservatori considerano sensate le preoccupazioni dei politici laburisti: secondo la gran parte delle analisi del voto, la sconfitta di Miliband ha mostrato che il partito non può vincere spostandosi troppo a sinistra e che deve riconquistare la classe media, rassicurandola soprattutto sulle sue politiche economiche. Il Labour viene visto come un partito che sa solo aumentare la spesa e le tasse, e che non è in grado di far crescere l’economia. Altri invece sostengono che Miliband non è stato radicale abbastanza e che Corbyn permetterebbe al partito di recuperare terreno soprattutto in Scozia, dove alle ultime elezioni il Labour è stato distrutto. Secondo il Guardian il nuovo leader dovrà essere in grado di porre fine alla crisi dell’establishment, che ha permesso l’ascesa di Corbyn, di dare risposte alle «pulsioni contrarie all’austerità del partito», di «incanalare l’energia dei giovani», «dare battaglia ai Conservatori e fare appiglio sia chi sta al centro che a sinistra»; e infine di riunire sotto la sua figura le diverse anime del partito. «La persona migliore per farlo», ha scritto il giornale nel suo endorsement, è Yvette Cooper.