Come si organizza un mega-tour musicale

Storie di concerti enormi, raccontate da chi ci lavora: dalla creazione delle scenografie alle cose che possono andare storte (come la volta che gli U2 restarono bloccati dentro a un limone gigante)

I Queen in concerto nel 1982 ( Keystone/Getty Images)
I Queen in concerto nel 1982 ( Keystone/Getty Images)

Il Guardian ha raccolto in una serie di articoli racconti e testimonianze di persone che lavorano a enormi tour o concerti musicali, per raccontare il grande processo organizzativo dietro alle due ore di concerto sperimentate dal pubblico. Dave Simpson, il critico musicale del Guardian, ha parlato con gestori di stadi e palazzetti, addetti alla sicurezza, promoter, e soprattutto con responsabili della messa in scena e show designer. Queste ultime due figure, in particolare, sono i veri responsabili di tutto ciò che succede a un concerto di un grosso tour, canzoni escluse: robot enormi che compaiono sul palco, fuochi d’artificio colorati, luci intermittenti che si accendono e spengono seguendo il ritmo della batteria. Simpson ha intervistato Chris Vaughan, responsabile della messa in scena che ha lavorato fra gli altri coi Black Sabbath e i Manic Street Preachers, e Rob Sinclair, show designer di Peter Gabriel e dei Queen: gli hanno raccontato un po’ di cose che hanno imparato durante la loro carriera e cosa può andare storto in caso di lavoro poco accurato.

Come funziona un mega-tour, perché sono importanti
Per i musicisti già piuttosto conosciuti, negli ultimi dieci anni c’è stato un cambiamento piuttosto radicale riguardo la propria principale fonte di guadagno. Fino a pochi anni fa un musicista otteneva la maggior parte dei propri soldi vendendo dischi: i concerti e i tour servivano principalmente a “promuovere” un disco in uscita – e infatti iniziavano anche settimane prima della messa in vendita nei negozi – oppure “aprire” nuovi mercati suonando in posti lontani ed esotici (è il motivo per cui fra fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta i Kiss fecero diversi tour in Giappone e Australia, per esempio).

Oggi il processo si è invertito: data la crisi del mercato dei dischi, la maggior parte degli introiti di una band deriva dai tour, spesso lunghissimi e affollati di date. Per forza di cose i musicisti si sono trovati a dover migliorare l’esperienza complessiva dello spettatore, e a cercare di associare il concerto in sé a esperienze “visive” forti: quindi capita sempre più spesso di assistere a concerti con decine e decine di ballerini, sfondi che cambiano da canzone a canzone, giochi di luci e robot che interagiscono durante le canzoni (cosa che negli anni Settanta e Ottanta potevano permettersi solo poche e ricche band). Chris Vaughan lavora da decenni come production manager: si occupa cioè di coordinare gli show designer che lavorano alla scenografia del palco e agli effetti speciali e la generale logistica di ciascun concerto del tour. A proposito del recente cambiamento nella percezione dei tour, ha spiegato:

Al giorno d’oggi se una band vuole fare più soldi ha bisogno di suonare in posti più grossi, ed essere disposta a suonare 2-3 date in più al mese. Il responsabile della messa in scena deve stare dietro a questi cambiamenti: di conseguenza, esistono oggi aziende che progettano enormi scenografie e persone che devono essere capaci di montarle e smontarle molto velocemente.

La “filiale” di produzione è invece rimasta più o meno la stessa, negli ultimi anni. Spiega Vaughan:

Una band pubblica un disco, lo promuove e decide di andare in tour. Il loro agente, con l’aiuto dei promoter, fissa alcune date in giro per il mondo. Il loro manager, assieme alla casa discografica, decidono in che paesi andare e in quale ordine, a seconda delle varie date di uscita del disco. A quel punto, entro in gioco io: generalmente mi vedo con la band e ragioniamo attorno a quale tipo di spettacolo vogliono proporre, a seconda della grandezza dei posti in cui suoneranno. In un secondo momento, metto assieme uno staff di creativi [show o set designer] con cui sviluppo qualche idea, con le quali torno dalla band riferendo anche i relativi costi.

Al contempo, però, Vaughan ha spiegato che fra le mansioni di un production manager c’è anche quella di occuparsi di sovrintendere all’assemblaggio del palco: cosa che rende il suo lavoro piuttosto faticoso.

Quando ti ritrovi a lavorare per una grossa “macchina” produttiva, è come se ne facessi parte ma al contempo ne fossi escluso. Più invecchio e più soffro del fatto che in tour tutto quello che faccio è lavorare e dormire. Iniziamo a lavorare alle 7, montiamo il palco, e poi lasciamo spazio alla band. Loro arrivano, fanno il soundcheck alle quattro del pomeriggio, cenano, suonano, e poi se ne vanno poco dopo. Noi dobbiamo smontare e caricare tutto il materiale entro l’una e mezzo di notte. Dormiamo in viaggio: alle 7 si ricomincia, stavolta in un’altra città. Più sei veloce a smontare il palco e più tempo avrai a disposizione per dormire durante il viaggio.

E cosa fa uno show designer?
Rob Sinclair, lo show designer intervistato da Simpson, ha spiegato che i musicisti si rivolgono a lui semplicemente «quando vogliono che appaia qualcosa di fantastico mentre loro stanno suonando». Sinclair ha spiegato che il suo processo di lavoro «inizia con le parole di una certa canzone, e con la loro interpretazione “visuale”».

Quando una persona scrive una canzone, ci mette solitamente molto del suo: io sono la persona che deve dirgli «la canzone che ami dovrà avere degli effetti visivi blu» e cose del genere. È davvero strano ragionare di queste cose – cosa pensi di una canzone, cosa vuoi farci – con la stessa persona che l’ha composta.

Sinclair aggiunge che alcuni artisti con cui ha lavorato gli chiedono anche di andare in tour con loro, per assicurarsi che durante le prime tappe di un tour tutto vada per il verso giusto. Altri ancora, invece, pretendono di essere parecchio coinvolti nel processo creativo del “contorno” del concerto: è il caso per esempio dell’ex cantante dei Genesis, Peter Gabriel.

Peter vuole essere coinvolto anche nelle decisioni più piccole. Durante le prove, si siede vicino a me con un microfono e canta ogni canzone osservando le luci e il palco. Poi andiamo in un angolo e lui passa rapidamente in rassegna tutto quello che ha visto. È un processo molto intenso. Lui è una persona deliziosa e sfortunatamente ha sempre ragione. È in giro da un sacco di tempo e capisce davvero cosa può fare e non fare un certo macchinario. Se un faretto non si spegne coi tempi giusti, Peter ve lo farà notare.

A volte, invece, il lavoro di Sinclair include studiare effetti visivi e scenografie prodotte in passato, per cercare di dare continuità all’immagine di un certo artista: è quello che ha fatto in occasione della recente collaborazione coi Queen, che dal 2011 suonano in tour assieme al cantante Adam Lambert. Racconta Sinclair:

Ho studiato cosa prevedeva un concerto dei Queen negli anni Ottanta: si erano fatti una reputazione anche per i loro spettacoli enormi, incredibili ed esagerati. Una volta Brian May mi ha detto che prima dell’era in cui si iniziò a suonare allo stadio di Wembley [a metà anni Ottanta] i Queen “reinvestivano” tutti i soldi che guadagnavano coi concerti per comprare luci e cose del genere. Bisognava rispettare la tradizione secondo cui i loro spettacoli devono essere enormi.

Per il tour con Adam Lambert, l’idea era produrre una versione rivisitata della messa in scena presente nel disco live Live Killers, uscito nel 1979. L’impianto luminoso del tour, insomma, doveva essere coerente con la tradizione dei Queen. Non sono sicuro che nessuno a parte me l’abbia notato, ma sentivo davvero il peso della storia, e l’esigenza di pareggiare il lavoro di chi era venuto prima di me.

Da dove arrivano
Vaughan racconta che la tradizione di mettere in piedi scenografie gigantesche da utilizzare per tutto il tour è nata solamente alcuni decenni fa.

Negli anni Settanta i concerti più “elaborati” li facevano gente come Alice Cooper: oggi, però, le scenofrafie di quel tempo ci sembrano dilettantesche. Era tutto così spartano. Inoltre, a quei tempi, i concerti più importanti si tenevano nei teatri. Negli Stati Uniti i concerti negli stadi sono sempre esistiti, dato che si utilizzavano i posti dove giocavano le squadre di hockey e baseball: in Europa, però, non funzionava allo stesso modo. Poi, nel 1976, è stata costruita la NEC Birmingham, la prima arena per concerti del Regno Unito. Negli anni Ottanta, si era già formato un circuito di arene anche in Europa: di conseguenza potevi mettere in piedi lo stesso spettacolo sia in Europa sia negli Stati Uniti. Da lì in poi è stata tutta una discesa.

Dato che negli anni scorsi le scenografie non erano così essenziali per la riuscita di un concerto, Vaughan sospetta che molto all’epoca avesse a che fare con l’orgoglio e una certa competizione fra band. Vaughan ritiene che questo sia avvenuto, in particolare, per le band hard rock degli anni Settanta. Già a quel tempo, per esempio, i Motörhead suonavano alcuni concerti con un impianto di luci gigante che ricordava un aereo da guerra (di cui si parla nella canzone “Bomber”, del 1979). La cosa, naturalmente, aveva i suoi lati negativi: Mikkey Dee ha ricordato che durante un concerto tenuto al teatro Hammersmith di Londra, a causa di un errore l’aereo venne stato tirato giù in un punto sbagliato, cadendo sopra la sua batteria.

Cose che vanno storte
Sia Vaughan sia Sinclair hanno condiviso poi alcune trovate che nel corso degli anni sono andate storte: Vaughan li ha definiti “momenti alla Spinal Tap”, citando una scena del famoso documentario sarcastico sul mondo del rock in cui il bassista della band protagonista rimane bloccato dentro a un guscio di plastica durante un’intera canzone di un concerto.

Vaughan ricorda per esempio che durante un tour del 2011 dei Take That, la messa in scena prevedeva un robot gigante alto quasi venti metri, una cascata gigante e 30 ballerini. Durante un concerto tenuto a Manchester il 4 giugno, alcuni membri della band restarono bloccati sopra al robot, e furono riportati sul palco grazie a delle scale.

Successe una cosa simile agli U2, che durante un concerto tenuto a Oslo nel 1992 restarono bloccati dentro a un limone gigante dal quale dovevano uscire fuori. Sinclair, invece, ha ricordato di quella volta in cui durante un concerto di Goldfrapp un enorme arco gonfiale di plastica presente sul palco si sgonfiò improvvisamente, costringendo alcuni membri dello staff a intervenire per tenerlo in piedi.

Di recente è andata peggio al chitarrista dei 5 Seconds of Summer, che durante un concerto a Londra è stato colpito da una fiamma che faceva parte della scenografia del palco, bruciandosi la testa.