Il business del porno quotato in borsa

Il Wall Street Journal ha fatto un giro all'assemblea degli azionisti dell'unica società di intrattenimento per adulti quotata in borsa, a cui gli affari non vanno troppo bene

Questa settimana il Wall Street Journal ha visitato un’assemblea di azionisti all’apparenza tradizionale, se non fosse stato per la tenue luce rosata che illuminava la sala. La riunione si è svolta a Flensburg, in Germania, vicino al confine con la Danimarca, la città famosa per aver ospitato per alcune settimane il governo nazista dopo la morte di Adolf Hitler. Qui ha sede il quartier generale di Beate Uhse, una delle più antiche società produttrici di intrattenimento per adulti e l’unica al mondo ad essere quotata in borsa.

Beate Uhse – che si pronuncia “beate use” – è stata fondata dall’omonima donna pilota ausiliaria dell’aviazione nazista nel 1946. Inizialmente la società vendeva manuali di educazione sessuale e prodotti contraccettivi, poi nel 1962 aprì quello che la società definisce “il primo sex-shop della storia”. All’epoca aveva un nome molto poco sexy: “Istituto per la salute coniugale”. Nel corso della sua storia la società ebbe parecchi problemi con polizia e tribunali, ma riuscì sempre ad averla vinta fino a che nel 1999 si quotò in borsa. Sui certificati di possesso delle azioni era stampata una donna nuda.

Il core business della società è sempre stato ed è ancora la catena di sex-shop che sono diffusi in più di 60 paese diversi, ma per diversi decenni della sua storia, Beat Uhse ha posseduto anche una ventina di cinema porno. Negli ultimi anni la società ha fatto fatica a tenere il passo con la tecnologia: pornografia gratuita su internet e negozi per adulti online hanno eroso gran parte del fatturato della società. Dal 1999 ad oggi Beate Uhse ha perso il 97 per cento del suo valore azionario.

Uno dei problemi è che nella liberale Europa, dove i costumi sessuali sono molto più rilassati rispetto ad Asia e Stati Uniti, investire sul sesso è una cosa ancora abbastanza imbarazzante. Il gestore di un fondo di investimento americano ha raccontato al Wall Street Journal quante difficoltà incontra nel convincere la gente a investire nel gioco d’azzardo, nell’alcol e nelle armi: «Se cominciassi anche a parlare di sesso… oh no, davvero non potrei farlo». Meno soldi dagli investitori significa meno denaro per aggiornare il modello di business e quindi un ritardo nel restare al passo coi tempi.

Doreen Schink, un addetta alle relazioni con gli investitori di Beate Uhse, dice che le cose stanno migliorando. Lei stessa racconta che quando si parla di numeri e bilanci la società non è diversa da tutte le altre. Il suo colloquio di lavoro è stato tutto sommato normale, a parte qualche risatina di imbarazzo. Dal 2013 la società ha modificato il suo target, cercando di conquistare la clientela femminile e concentrandosi sulla vendita di sex toys e soprattutto di biancheria (come si vede anche dai nuovi spot). La società vuole “normalizzare” la sua immagine e, come dice Schink: «Fare il salto da venditori di giocattoli sessuali a “lifestyle retailer”».

Il successo del libro “Cinquanta sfumature di grigio” e della serie tv “Sex and the city” hanno aiutato molto a scalfire il tabù che circonda il sesso e sia libro che serie tv sono nominate diverse volte nel prospetto consegnato agli azionisti. Il prezzo delle azioni è molto basso al momento e questo potrebbe dare alla società qualche margine di crescita: i pochi analisti che se ne occupano dicono che il prezzo delle azioni è troppo basso vista l’importanza del marchio, fondato oramai 69 anni fa.Il prezzo basso delle azioni potrebbe però attrarre nuovi investitori in futuro.

Nonostante libri, film e un generale atteggiamento molto meno puritano di un tempo, è ancora difficile liberarsi degli antichi imbarazzi che circondano la sfera sessuale. Nella borsa regalo che è stata regalata agli azionisti della società al termine della riunione, racconta il Wall Street Journal, era contenuto un preservativo, una penna rosa e buono acquisto da 30 euro da spendere nei negozi della società. Alcuni azionisti hanno sbirciato cosa conteneva il loro regalo, ma la maggior parte ha infilato in fretta e furia la busta con l’inconfondibile marchio nella propria valigetta.