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  • Martedì 21 luglio 2015

L’ineffabile Donald Trump

Che cosa è successo alle primarie negli Stati Uniti per le presidenziali del prossimo anno da quando si è candidato il controverso miliardario

Da circa un mese l’imprenditore statunitense Donald Trump è candidato alle primarie del partito Repubblicano per le presidenziali negli Stati Uniti del prossimo anno: secondo la maggior parte degli osservatori politici non ha possibilità di diventare presidente, ma nell’avvio della lunga campagna elettorale sta comunque riscuotendo un notevole successo grazie al suo modo di fare spregiudicato e lontano dal politicamente corretto degli altri candidati. Secondo i sondaggi più recenti, il 24 per cento degli elettori repubblicani attualmente voterebbe per Trump, quasi il doppio rispetto al 13 per cento per Scott Walker, governatore del Wisconsin, e più del 12 per cento ottenuto da Jeb Bush, ex governatore della Florida e membro della famiglia Bush (che ha già avuto due presidenti).

Trump e le presidenziali
Il nome di Donald Trump – che è diventato miliardario proseguendo le attività immobiliari di famiglia e famoso grazie al programma televisivo “The Apprentice” di NBC – ricorre da tempo quando si parla di elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Durante la scorsa campagna elettorale si parlò molto di una sua possibile candidatura per il partito Repubblicano, ma prima che le cose si facessero serie Trump annunciò nella primavera del 2011 che non avrebbe partecipato alle primarie per scegliere il candidato dei repubblicani. I sondaggi condotti all’epoca lo avevano comunque dato in vantaggio rispetto agli altri candidati, ma era ancora una fase molto prematura della campagna elettorale e le cose sarebbero probabilmente cambiate nei mesi seguenti, quando si sarebbero rafforzate le candidature principali, a partire da quella di Mitt Romney (che avrebbe poi perso contro Barack Obama nel 2012, quando il presidente uscente ottenne un secondo mandato). Sempre a inizio 2011 si disse che Trump aveva concrete possibilità di battere Obama, ma erano più voci di stampa che altro e gli analisti politici erano estremamente scettici in merito.

L’annuncio
Trump ha annunciato la sua candidatura il 16 giugno durante un comizio tenuto all’interno della Trump Tower, a New York, l’edificio più conosciuto della sua Trump Organization. Nelle settimane precedenti in molti avevano ipotizzato che il miliardario stesse seriamente valutando di candidarsi per le primarie e di conseguenza le presidenziali del 2016. Trump ha fatto un ingresso particolare prima di salire sul palco del comizio: accompagnato da una musica trionfale, si è fatto trasportare da una scala mobile, tra l’altro in discesa. La cosa è stata notata soprattutto dai programmi di intrattenimento di tarda serata, come il Daily Show di Jon Stewart, che ha commentato l’arrivo di Trump immobile su una scala mobile che lo porta verso il basso come una perfetta metafora del personaggio.

Durante il suo comizio, di circa 45 minuti, Trump ha detto di tutto parlando soprattutto di sé e dei risultati ottenuti nella sua carriera, lasciando spesso in secondo piano il suo programma nel caso di una vittoria alle primarie. Ha detto di volere “ricostruire il sogno americano, rendendolo più grande e migliore di quanto sia mai stato” e ha poi spiegato che potrebbe essere “il più grande presidente mai creato da Dio”.

Lo slogan
Per la sua campagna elettorale, Donald Trump ha scelto lo slogan “Make America Great Again” (“Rendi l’America grande di nuovo”), frase praticamente identica al “Let’s Make America Great Again” (“Rendiamo l’America grande di nuovo”) scelto come slogan da Ronald Reagan tra il 1979 e il 1980 per la sua campagna elettorale alle presidenziali. In seguito è emerso che Trump aveva registrato lo slogan già nel 2012 poco prima dell’inizio dell’ultima campagna elettorale, cosa che indica che ci fu qualche ripensamento all’epoca circa la sua candidatura. Molti osservatori conservatori hanno criticato la scelta di Trump di riprendere la frase usata da Reagan, tra i presidenti simbolo dei repubblicani, mentre altri hanno sottolineato che la mancanza del “let’s” rende la frase meno accogliente e coinvolgente, conferendole un tono imperativo che secondo alcuni si adatta bene ai modi spicci e noncuranti di Trump.

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Immigrazione
Trump ha da sempre avuto una posizione intransigente nei confronti dell’immigrazione, tema molto sentito dai repubblicani soprattutto per quanto riguarda il flusso di migranti provenienti dal Messico e che – spesso clandestinamente – raggiungono gli Stati Uniti sfruttando il lungo confine difficile da tenere per intero sotto controllo. Nel suo comizio per la candidatura ha detto di essere favorevole al completamento e al rafforzamento della grande recinzione lungo il confine con il Messico, cosa che non ha sorpreso nessuno. Solo che poi ha aggiunto un’altra cosa, di cui si è discusso moltissimo nei giorni seguenti negli Stati Uniti. Parlando dei migranti messicani, Trump ha detto:

“Quando il Messico manda la sua gente, non manda i migliori. Ci manda persone che hanno un sacco di problemi e che se li portano dietro. Portano droga. Portano il crimine. Sono stupratori. E alcuni, immagino, sono comunque brave persone”.

Anche se ha provato a chiarire il suo pensiero in seguito, le frasi di Trump non sono piaciute per niente alle numerose aziende che fanno affari con lui. Le emittenti NBC e Univision e la catena di centri commerciali Macy’s hanno tagliato qualsiasi rapporto professionale con Trump.

John McCain
L’11 luglio scorso Donald Trump ha tenuto un comizio a Phoenix, in Arizona, il più grande da quando è partita la sua campagna elettorale, anche se non è chiaro quante migliaia di persone fossero presenti al Phoenix Convention Center per ascoltarlo. Ha parlato nuovamente di immigrazione dicendo di volerne fare uno dei temi principali della sua campagna elettorale e ha ripetuto alcune cose del suo comizio di New York, giudicate razziste da diversi osservatori. Il senatore John McCain, candidato repubblicano alle presidenziali del 2008, lo ha criticato duramente e Trump gli ha risposto dicendo di non ritenere McCain un eroe di guerra. L’allusione era all’episodio più noto e rispettato della biografia di McCain, che è un senatore repubblicano molto stimato anche per la sua storia personale: durante la guerra in Vietnam fu catturato e tenuto prigioniero per più di cinque anni, nei quali fu anche torturato.

Le dichiarazioni di Trump su McCain sono state criticate aspramente da tutti gli altri candidati alle primarie repubblicane, mentre alcuni reduci di guerra hanno detto che si sarebbe dovuto scusare al più presto per la sua frase infelice. Trump non lo ha fatto e ha cercato di ribaltare la situazione, accusando McCain di avere definito “dei matti” i sostenitori che a Phoenix erano andati a seguire il comizio del candidato. La polemica sta continuando ancora in questi giorni e alcuni esponenti di spicco dei repubblicani hanno chiesto a Trump di ritirarsi dalla campagna elettorale.

Cosa dicono i media
L’attacco più duro nei confronti di Trump è arrivato probabilmente dal Des Moines Register, un giornale piccolo ma piuttosto influente dello Iowa, lo stato dove si tengono le prime votazioni per le primarie, con un editoriale in cui viene chiesto al candidato di concludere il suo “spettacolino trombone”. L’articolo dice che Trump ha dimostrato ampiamente di non essere degno della presidenza degli Stati Uniti né di stare sullo stesso palco insieme agli altri candidati repubblicani.

Il Washington Post ha scritto un editoriale su Trump iniziandolo in modo piuttosto eloquente: “È raro che ci occupiamo di candidati marginali alle presidenziali”, dicendo di volere fare un’eccezione per Trump. L’editoriale prosegue ricordando che nel 2008 per il partito Repubblicano fu un privilegio avere John McCain come candidato, mentre invece a questo giro deve fare i conti con Trump “un uomo il cui principale talento politico è quello di riflettere i peggiori istinti della società americana”. Ma secondo il Washington Post, la candidatura di Trump è comunque un’opportunità per rendersi conto di quali possono essere i rischi del populismo, uno stimolo a essere migliori e più vicini alle esigenze del paese.

Trump è comunque un personaggio che mediaticamente funziona molto e offre molto materiale, soprattutto per le emittenti che fanno solo informazione: le sue dichiarazioni vengono quasi sempre riprese, commentate e usate per montare un caso su cui fare altre discussioni, attendersi smentite e così via. Secondo gli analisti è questa sua costante presenza sui media ad averlo favorito nei sondaggi più recenti. Trump è il candidato di cui si parla di più e sta riempiendo, almeno per ora, gli spazi lasciati aperti dagli altri candidati che sono ancora alle prese con l’avvio della loro campagna elettorale. La strategia migliore per gli altri candidati, suggerisce Eugene Robinson del Washington Post, dovrebbe essere quella di isolare Trump per non dargli ulteriore spazio: più viene attaccato più rafforza la sua posizione, lasciando meno visibilità agli altri.

Nelle ultime settimane tutti i principali programmi satirici degli Stati Uniti si sono occupati di Trump, e la battuta più ricorrente nei monologhi di apertura degli show di tarda serata è stata sul fatto stesso che Trump abbia deciso di candidarsi e le opportunità infinite che questa decisione ha portato a chi fa satira. L’ultimo numero del New Yorker ha probabilmente riassunto meglio di molte altre analisi l’effetto di Donald Trump sulla campagna elettorale in vista delle presidenziali del prossimo anno, con una copertina che mostra Trump mentre si tuffa di pancia in piscina, facendosi largo tra gli altri candidati, resi insignificanti e in cerca di riparo.

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