La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia sui diritti degli omosessuali

Il vuoto normativo italiano non è più accettabile, dice la sentenza che ha accolto il ricorso di tre coppie di italiani

Milano Pride 2015 (Piero Cruciatti / LaPresse)
Milano Pride 2015 (Piero Cruciatti / LaPresse)

La Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha condannato l’Italia per non prevedere alcuna forma di riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso: la sentenza diffusa martedì 21 luglio riguarda la violazione dei diritti di tre coppie omosessuali che avevano presentato ricorso dopo aver chiesto ai loro comuni di fare le pubblicazioni per potersi sposare ma si sono viste rifiutare la possibilità.

La quarta sezione della Corte, pur riconoscendo che la non estensione del diritto al matrimonio resta una scelta legittima dei diversi stati, ha affermato come non sia più ammissibile il vuoto normativo di qualsiasi tipo di riconoscimento: «La corte ha considerato che la tutela legale attualmente disponibile in Italia per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile», si legge in una nota della Corte. La decisione è stata adottata all’unanimità. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sede a Strasburgo e non è una istituzione che fa parte dell’Unione europea: non va confusa con la Corte di giustizia dell’Unione europea con sede in Lussemburgo, che è un’istituzione effettiva dell’Unione europea.

L’Italia è stata condannata in particolare per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione CEDU sul «diritto al rispetto della propria vita privata e familiare». Nei prossimi tre mesi i ricorrenti e anche lo Stato italiano potranno chiedere il riesame della sentenza di oggi. Il caso era stato sollevato da Enrico Oliari, presidente di Gaylib, associazione nazionale dei gay liberali e di centrodestra. L’avvocato Alexander Schuster, difensore della coppia che ha guidato il ricorso ha ricostruito la vicenda che ha portato alla sentenza di oggi:

Nel 2009 due coppie trentine furono seguite dall’avv. Alexander Schuster per contrastare il rifiuto opposto dal sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, di procedere alle pubblicazioni di matrimonio.

Il Tribunale rigettò il ricorso, ma la Corte di appello ritenne che la legge italiana poteva essere ritenuta in violazione della Costituzione e rinviò la questione alla Consulta (l’ordinanza in Gazzetta ufficiale). La Corte costituzionale statuì che riservare il matrimonio alle coppie eterosessuali non era incostituzionale, ma che vi era un diritto fondamentale delle coppie omosessuali a ottenere il riconoscimento delle loro unioni (sentenza n. 138/2010). Il Parlamento, come noto, è tuttora inadempiente a questo sollecito, tanto che è stato ribadito dalla Corte costituzionale nel 2014 (sentenza n. 170/2014).

La Corte di appello prese atto di tale esito dell’incidente di costituzionalità e rigettò il reclamo. Questo studio legale considerò un ricorso in Cassazione privo di prospettive di successo e il 21 marzo 2011 depositò personalmente a Strasburgo il ricorso di Oliari e al. c. Italia (n. 18766/11). Si tratta del primo ricorso mai presentato da un avvocato italiano su questioni LGBTI alla Corte europea e questa è la prima sentenza mai adottata su tali temi nei confronti dell’Italia in relazione alla CEDU.
Nei mesi e anni successivi vennero depositati altri ricorsi sulla medesima questione o sul rifiuto di trascrivere matrimoni stranieri. I diversi ricorsi sono stati riuniti sotto il nome del primo caso, Oliari, appunto. Oggi la Corte ha dato giustizia alla coppia ricorrente, così come alle altre che l’hanno seguita.

In Italia si discute da almeno trent’anni di una legge che preveda una forma di riconoscimento per le unioni omosessuali, finora senza successo. L’ultimo tentativo in ordine di tempo è ancora in corso: il governo Renzi ha ripreso in mano la questione avanzando una nuova proposta di legge sulle unioni civili, che è stata descritta come una sintesi di nove proposte di legge già esistenti. La relatrice del disegno di legge è la senatrice Monica Cirinnà del Partito Democratico. La proposta da mesi incontra un fortissimo ostruzionismo incoraggiato da manifestazioni pubbliche come il Family Day ed è oggetto di dibattito all’interno dello stesso Partito Democratico.

Il disegno di legge è praticamente bloccato in commissione Giustizia del Senato, ed è già stato parzialmente modificato: secondo i giornali, è difficile che la legge possa essere discussa dal Senato entro l’estate. Il testo base è stato approvato il 26 marzo 2015 dalla commissione Giustizia del Senato, dalla quale però in questi mesi non è riuscito a uscire. Il rallentamento subìto dal disegno di legge ha sostanzialmente due cause: una forte opposizione del Nuovo Centrodestra – il partito di minoranza della coalizione di governo – e di uno dei suoi dirigenti più importanti, il senatore Carlo Giovanardi; e un lento dibattito interno al Partito Democratico che interessa principalmente la sua componente cattolica, malgrado le spinte recenti del sottosegretario Ivan Scalfarotto, il più attivo tra chi propone un intervento di legge.

(Perché la legge sulle unioni civili in Italia è bloccata)