Il Portogallo ce l’ha fatta?

Breve storia di un paese molto citato come esempio virtuoso dell'applicazione delle misure di austerità, ma che sembra non avere mai risolto del tutto i suoi problemi

Lisbona, Portogallo. (AP Photo/Francisco Seco)
Lisbona, Portogallo. (AP Photo/Francisco Seco)

Uno dei paesi a cui nelle ultime settimane si è fatto più riferimento parlando della crisi della Grecia è stato il Portogallo, che è stato individuato da molti come esempio positivo – assieme ai paesi baltici e all’Islanda – del funzionamento delle misure di austerità. L’economia portoghese è in crescita da più di un anno e la disoccupazione sta scendendo rapidamente. In un’intervista pubblicata ieri dal settimanale tedesco Spiegel, il ministro delle Finanze della Germania Wolfgang Schäuble – noto per le sue posizioni molto rigide nei confronti della Grecia – ha citato il Portogallo come primo esempio di un paese che «ha sperimentato uno sviluppo economico positivo dopo aver applicato il programma di aiuti internazionali». Alcuni mesi fa Schäuble aveva precisato che la situazione attuale del Portogallo è «la miglior prova» a sostegno dell’efficacia dei programmi di austerità. Non tutti però sono d’accordo con Schäuble: In diversi hanno sottolineato come il “costo sociale” creato dalle misure di austerità sia stato enorme, e che le sue conseguenze continuano a essere pagate ancora oggi dalla popolazione portoghese.

Come ci siamo arrivati
Il Portogallo, come molti altri paesi europei, ha subìto le conseguenze peggiori della crisi finanziaria dopo il 2010. Fra il 2011 e il 2013 la sua economia si è ristretta del 6 per cento, mentre la disoccupazione ha raggiunto il 17 per cento. Quando l’attuale primo ministro di centrodestra Pedro Passos Coelho ha ottenuto l’incarico, nel giugno del 2011, il rapporto fra deficit e PIL era vicino al 10 per cento: un rapporto considerato “sano” si aggira attorno al 3 per cento. Nello stesso anno, il Portogallo ha firmato un duro accordo per ottenere 78 miliardi di euro in prestito dalla cosiddetta “troika” – cioè l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale – in cambio di diverse privatizzazioni e riforme strutturali.

Negli ultimi anni, dopo l’approvazione di alcune leggi molto dure e contestate e l’uscita dal piano di aiuti (avvenuta nell’estate del 2014), il Portogallo sta attraversando una fase stabile di crescita economica: il sistema economico è in espansione da quattro trimestri consecutivi e per il 2015 è previsto un aumento del PIL dell’1,7 per cento. La disoccupazione è ancora piuttosto alta ma è scesa al 14 per cento. E nonostante rimangano diversi problemi – fra cui l’elevato debito pubblico e l’enorme numero di portoghesi emigrati all’estero – 200mila su 10 milioni di abitanti – il sistema politico portoghese è rimasto piuttosto stabile. Nei sondaggi per le elezioni politiche che si terranno in settembre sono attualmente considerate molto vicine due fazioni politiche “istituzionali”: la coalizione di centrodestra Alleanza Portoghese e il Partito Socialista.

(il PIL del Portogallo dal 2004 a oggi)

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Ma come hanno fatto?
Il Portogallo si è comportato in maniera opposta rispetto alla Grecia. Il governo ha aumentato le tasse, ha cercato di ridurre l’evasione fiscale, ha reso più flessibile il mercato del lavoro e privatizzato una serie di aziende pubbliche. I recenti successi economici sono dovuti principalmente alle esportazioni: per compensare il calo costante dei consumi interni, le aziende sono state costrette a trovare nuove strategie e la maggior parte ha deciso di investire nelle nuove tecnologie per cercare di attirare clienti dall’estero (facilitata anche dai contratti di lavoro più flessibili). Oggi le esportazioni valgono più del 40 per cento del PIL portoghese, mentre nel 2009 si fermavano al 27 per cento. Secondo alcune stime dello stesso governo portoghese, il Portogallo nei prossimi due anni sarà in grado di ripagare in anticipo alcuni debiti contratti coi propri creditori internazionali per circa 14 miliardi di euro.

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I guai che restano
Da anni in molti hanno criticato le riforme del centrodestra, sostenendo che hanno avuto un costo sociale altissimo. António Costa, 54enne ex sindaco di Lisbona e oggi segretario del Partito Socialista, ha detto che il programma di austerità ha prodotto «nient’altro che povertà». In un articolo di giugno, l’Economist ha scritto che quasi metà dei laureati che ha un lavoro e ha meno di 35 anni guadagna in un mese meno di 900 euro.

Una stima della Commissione Europea indica che il 60 per cento degli hotel e dei ristoranti portoghesi – questi ultimi soggetti dal 2012 a un’IVA del 23 per cento, 10 punti in più di quella prevista in precedenza – sono a forte rischio di chiusura poiché a causa degli scarsi introiti non riescono a pagare debiti contratti in passato. Secondo il Wall Street Journal, inoltre, i dati piuttosto positivi sulla disoccupazione sono “gonfiati” dal fatto che circa 200mila persone da oggi al 2011 hanno lasciato definitivamente il Portogallo in cerca di lavoro.

Passos Coelho, parlando delle prossime elezioni politiche, ha detto che «è facile comprendere cosa c’è in ballo. Vogliamo costruire qualcosa di positivo sulla base di quanto già abbiamo raggiunto, oppure ritornare al tempo dei debiti e dell’incertezza?».