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  • Lunedì 13 luglio 2015

E il partito di Tsipras?

Mentre tutti guardavano Bruxelles, ad Atene il partito di governo si era diviso già sulla proposta di Tsipras: e ora non è detto che il governo regga

(AP Photo/Francisco Seco)
(AP Photo/Francisco Seco)

Nella mattina di lunedì il governo della Grecia e i creditori internazionali hanno trovato un accordo per un nuovo prestito. Il piano dovrà comunque essere votato dal Parlamento della Grecia, dove diversi esponenti di Syriza (il principale partito di governo, quello di Alexis Tsipras) hanno già detto di essere contrari a nuove misure di austerità. Mentre l’attenzione di tutti è stata rivolta per giorni all’andamento dei negoziati a Bruxelles, quello che sta accadendo in queste ultime ore ha un altro punto di vista interessante e importante: la politica interna greca. Le notizie che arrivano potrebbero non essere molto rassicuranti per la tenuta del governo Tsipras.

Per capire cosa succederà è necessario tornare alla scorsa settimana. Nella notte di giovedì 9 luglio il governo greco aveva presentato una nuova proposta ai creditori internazionali, che era stata discussa sia dai dirigenti di Syriza che dal Parlamento greco. Sabato 11 luglio, dopo quasi dodici ore di dibattito, la maggioranza dei deputati greci aveva approvato il piano di Tsipras con 251 voti favorevoli su 300. Si è trattato di una maggioranza ampia, che ha superato di 100 voti quella necessaria: i principali partiti di opposizione (il partito conservatore Nuova Democrazia, i socialisti del PASOK e i centristi di To Potami) hanno votato sì; i membri del partito neonazista Alba Dorata e quelli del partito comunista KKE hanno invece votato contro. La situazione più difficile si è verificata però all’interno di Syriza, il partito di Alexis Tsipras.

Syriza, acronimo di Synaspismós Rizospastikís Aristerás (Coalizione della sinistra radicale), si è formata nel 2004 come unione di movimenti e partiti indipendenti di sinistra, dai marxisti agli ecologisti: all’interno di Syriza ci sono correnti più radicali, come “Tendenza comunista”, che già a febbraio chiedeva il «rispetto totale della agenda di Salonicco» (il programma lanciato da Alexis Tsipras nel settembre 2014 per la fine dell’austerità), e c’è poi la minoranza del partito rappresentata da “Piattaforma di sinistra”, che rappresenta circa il 35 per cento del totale di Syriza e che nel governo è rappresentata dal ministro della Rior­ga­niz­za­zione pro­dut­tiva, dell’Ambiente e dell’Energia.

Lo scorso sabato 17 deputati di Syriza non hanno votato il piano di Tsipras. Due di loro hanno votato no, 8 si sono astenuti e 7 non hanno preso parte alla votazione (tra questi anche l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, che aveva parlato di urgenti obblighi familiari). Tra i principali “dissidenti” ci sono il ministro dell’Energia e della Riorganizzazione produttiva Panagiotis Lafazanis, il ministro della Salute e della Sicurezza Sociale Dimitris Stratoulis, ex sindacalista e oppositore dei tagli alle pensioni, e il ministro del Lavoro Panos Skourletis che stamattina alla tv greca ERT ha detto che nessuno sarà costretto a votare un accordo che non condivide. Il portavoce del Parlamento greco Zoe Konstantopoulou ieri aveva detto: «Il governo è ricattato. I finanziatori insistono per trasformare il “no” (al referendum della settimana scorsa) in un “sì.” Non potrei mai votare i contenuti di un accordo di questo tipo».

L’ala più radicale del partito pensa infatti che il piano di Tsipras e il nuovo accordo tradiscano il No espresso dal referendum di due domeniche fa. Questa corrente potrebbe dunque decidere di non votare le riforme chieste dai creditori già nei prossimi giorni, e lo sblocco dei finanziamenti necessari ad applicarle. La corrispondente del Guardian Helena Smith ha scritto che ai 17 che non hanno votato il piano di Tsipras, potrebbero aggiungersi altri 15 parlamentari. A quel punto non è chiaro cosa succederebbe, ma circolano diverse ipotesi. Il governo dispone di 162 seggi al parlamento su 300. I deputati contrari all’interno di Syriza potrebbero decidere di dimettersi, oppure di mantenere i loro seggi e di votare no. Il nuovo accordo potrebbe essere approvato solo grazie al sostegno dei partiti di opposizione, e questo potrebbe portare di fatto a un governo di unità nazionale. Non è escluso però che il governo possa cadere e che si vada a nuove elezioni.