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  • Venerdì 10 luglio 2015

Com’è l’ultima proposta della Grecia

Ci sono nuove tasse e tagli alla spesa e ai privilegi, si avvicina molto alle richieste iniziali dei creditori: ma Tsipras chiede anche di rinegoziare il debito

Alexis Tsipras, Bruxelles, 7 luglio 2015 (JOHN THYS/AFP/Getty Images)
Alexis Tsipras, Bruxelles, 7 luglio 2015 (JOHN THYS/AFP/Getty Images)

Il governo greco ha presentato una nuova proposta ai creditori internazionali nella notte di giovedì 9 luglio, a poche ore dalla scadenza che le autorità europee avevano fissato. I contenuti della proposta saranno discussi e votati nel Parlamento greco oggi intorno alle 13.00 e, se saranno approvati, costituiranno la base su cui contrattare un nuovo accordo con i paesi dell’eurozona per ottenere un prestito che permetta alla Grecia di evitare il fallimento. Il documento presentato dal governo di Alexis Tsipras è lungo 13 pagine, prevede il recupero di 12 miliardi in 2 anni (quello pre­ce­dente era di 8 miliardi) e molti dei suoi punti ricalcano la precedente proposta di accordo avanzata dai creditori internazionali a giugno su cui un accordo sembrava essere molto vicino e che poi è stata respinta dal referendum di domenica scorsa con la vittoria dei “No” al 61 per cento. Per il nuovo accordo Tsipras chiede in cambio più risorse – si parla di un prestito triennale da 53,5 miliardi di euro – e una ristrutturazione del debito (cosa vuol dire?).

Cosa propone la Grecia, in breve:

• un avanzo primario, quindi il saldo tra entrate e uscite al netto degli interessi, all’1 per cento nel 2015, al 2 per cento nel 2016, al 3 per cento nel 2017 e al 3,5 per cento nel 2018;

• a partire da ottobre, un aumento dell’IVA dal 13 al 23 per cento anche per ristoranti e punti di ristoro, al 13 per cento per beni di prima necessità (acqua, cibo, elettricità), al 6 per cento per farmaci, libri e attività culturali (si tratta di una mediazione: i creditori avevano inizialmente chiesto solo due fasce di IVA cedendo poi alle tre fasce ma facendo richiesta che il cibo “processato” e i ristoranti venissero tassati con l’aliquota più alta);

• riduzione dei privilegi fiscali per le isole più turistiche: ne resteranno alcuni per quelle più remote. Il documento dice che l’abolizione di queste agevolazioni inizierà nel mese di ottobre e verrà poi applicata gradualmente fino al completamento previsto entro la fine del 2016. Anche questa è una mediazione tra l’iniziale posizione di Tsipras che era contrario alla fine dell’IVA speciale per le isole e i creditori che ne chiedevano l’eliminazione completa e immediata;

• riduzione della spesa militare di 100 milioni di euro quest’anno e di 200 milioni di euro nel 2016;

• la fine delle esenzioni fiscali per gli agricoltori, carburante compreso;

• aumento dell’imposta sul reddito delle società dal 26 al 28 per cento (i creditori chiedevano un aumento al 29 accettando però poi il compromesso nelle ultime fasi dei negoziati precedenti al referendum);

• aumento delle tasse sui beni di lusso, pubblicità e televisioni;

• disincentivi al pensionamento e altri provvedimenti per ridurre l’impatto del costo delle pensioni al massimo dello 0,5 per cento sul prodotto interno lordo entro fine 2015 e dell’1 per cento entro fine 2016. Inoltre portare l’età pensionabile ai 67 anni entro il 2022, fatta eccezione per i cosiddetti “lavori usuranti”;

• riduzione degli stipendi per i dipendenti pubblici entro il 2019 con l’adozione di meccanismi per premiare i più virtuosi;

• istituzione di un’agenzia autonoma per la riscossione delle tasse e per ridurre l’evasione fiscale;

• liberalizzazione delle professioni, a partire da quelle regolamentate da ordini professionali come ingegneri e notai, semplificazione del sistema delle licenze commerciali;

• privatizzazione della rete elettrica, degli aeroporti locali e dei porti, compreso il Pireo e il porto di Salonicco.

Le proposte del governo Tsipras sono molto simili a quelle già formulate nelle settimane passate e sulla maggior parte delle quali era stata trovata un’intesa, ma con alcuni impegni più concreti per quanto riguarda la riduzione della spesa pubblica e l’impegno a mantenere un avanzo primario, che dovrebbe offrire qualche garanzia in più per il medio periodo come chiesto da tempo dai creditori internazionali. Oltre al prestito, che dovrebbe essere di 53,5 miliardi di euro ed erogato entro metà agosto in caso di accordo tramite il Meccanismo europeo di stabilità (MES), Tsipras chiede che sia effettuata una ristrutturazione del debito, cioè che siano ridiscussi i termini dei prestiti precedenti in modo da alleggerire gli oneri economici per la Grecia. Ad alcuni leader dell’eurozona questa eventualità non è mai piaciuta, perché significherebbe rimetterci dei soldi, ma la stessa direttrice del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Christine Lagarde, ha ammesso di recente che una ristrutturazione del debito per la Grecia appare ormai “necessaria”. La Grecia ha mancato la settimana scorsa il pagamento di una rata da 1,6 miliardi di euro al FMI, che è uno dei suoi creditori internazionali.

Il nuovo piano sarà discusso oggi dal Parlamento greco, che dovrà anche esprimersi con un voto in modo da dare ad Alexis Tsipras e al suo governo l’appoggio necessario per trattare con le autorità europee nel fine settimana. Il voto non sarà comunque vincolante sui contenuti delle proposte, che dovranno essere votati nuovamente nel caso del raggiungimento di un accordo con i leader dei paesi dell’eurozona. Durante la discussione in Parlamento potrebbero emergere alcuni problemi considerato che all’interno di Syriza, il principale partito di governo, non tutti sono d’accordo con le proposte di Tsipras che di fatto rappresentano una prosecuzione dell’austerità. Il ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, per esempio, non ha sottoscritto il nuovo piano e il presidente del Parlamento, Zoe Konstantopoulou, aveva annunciato in precedenza che qualsiasi proposta che comprendesse nuove misure di austerità sarebbe stata inaccettabile. Sabato il piano verrà sot­to­po­sto all’Eurogruppo, seguìto dome­nica da due ver­tici straor­di­nari, prima dei capi di stato e di governo dei 19 paesi della zona euro, poi dei 28 dell’Unione europea.