• Mondo
  • Mercoledì 1 luglio 2015

La situazione in Grecia, spiegata per punti

Dal default con il FMI (cosa vuol dire?) alla trattativa con l'Europa, dalle decisioni della BCE al discusso referendum di domenica: tutto messo in ordine

Milos Bicanski/Getty Images
Milos Bicanski/Getty Images

Dalla mezzanotte del 30 giugno la Grecia è in default con il Fondo Monetario Internazionale, essendo scaduto il termine per il versamento di una rata da circa 1,6 miliardi di euro legata alla restituzione di un precedente prestito. Nel frattempo, però, stanno continuando informalmente le trattative tra il governo greco e i suoi creditori – FMI, BCE e Commissione Europea – e la Grecia si prepara a votare per il referendum con cui si deciderà se accettare le ultime proposte dell’Europa per accordare un nuovo prestito. Quindi i cittadini greci voteranno su una bozza di accordo (scaduto, peraltro) che il suo governo sta comunque cercando di cambiare, mentre tecnicamente il paese è già in default. Un bel guaio, insomma: di seguito lo rimettiamo in ordine, per chi era distratto.

1. Il default
Entro la mezzanotte del 30 giugno la Grecia doveva versare al FMI la rata di giugno del rimborso per i prestiti ricevuti e che hanno permesso alla Grecia di continuare a funzionare negli ultimi mesi. È la prima volta che un paese sviluppato non paga una rata di restituzione di un prestito al FMI. Non averlo fatto fa scattare in modo quasi automatico la procedura di default da parte del FMI. La prima conseguenza del default, che il FMI chiama “arretrato”, è che la Grecia non potrà più accedere ad altri prestiti del FMI fino a che non avrà rimborsato i soldi dovuti. La conseguenza più a lungo termine è che la Grecia potrebbe perdere il diritto di voto e poi essere espulsa dal FMI, e in generale dimostrare ai mercati di essere inaffidabile e potenzialmente insolvente, cosa che renderà molto complicato – anche dopo un’eventuale uscita dall’euro – trovare soldi in prestito sui mercati finanziari a meno di offrire alti tassi di interesse. Il mancato pagamento della Grecia è il più grande nella storia del FMI e, secondo alcuni osservatori, segna l’inizio di una nuova fase della crisi greca. Gli unici tre paesi oggi “in arretrato” col FMI, a parte la Grecia, sono Somalia, Zimbabwe e Sudan.

2. L’accordo con l’Unione Europea
A mezzanotte del 30 giugno è anche scaduto il piano di salvataggio europeo per la Grecia, quello oggetto della lunga trattativa delle ultime settimane. Il governo di Atene aveva chiesto ai paesi che adottano l’euro un nuovo prestito e in alternativa una proroga del piano di salvataggio iniziato nel 2012 e ancora in corso. La proposta dell’estensione del piano di salvataggio è stata valutata dai ministri delle Finanze dei paesi che fanno parte dell’euro, ma non è stato trovato un nuovo accordo. La Grecia ha dunque perso l’accesso, sotto varie forme, a 16 miliardi di aiuti.

Le trattative per un nuovo prestito alla Grecia, invece, non si sono interrotte: Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, ha detto che la Grecia manderà una nuova proposta e che i ministri delle Finanze si riuniranno mercoledì 1 luglio alle 15.30 per discuterla. I termini della nuova proposta non sono ancora chiari, ma si sa che la Grecia ha chiesto di ottenere un nuovo prestito di due anni tramite l’ESM, il il Meccanismo di stabilità europeo o Fondo salva-stati. Ottenere un nuovo prestito, per la Grecia, non è comunque una cosa facile, almeno per due ragioni:

– la Grecia dovrebbe offrire in cambio proposte concrete per la riduzione della sua spesa pubblica e per la ristrutturazione del suo debito pubblico, cosa che il governo si è dimostrato poco disposto a fare.
– un prestito da parte dell’ESM deve essere approvato dai governi di tutta l’eurozona e, nel caso della Germania, è necessario un voto del Parlamento, che non sembra essere molto disposto a concedere nuovo denaro alla Grecia.

In ogni caso il governo tedesco aveva anticipato che non avrebbero potuto esserci nuovi accordi prima di domenica prossima, quando in Grecia si terrà il referendum voluto dal governo Tsipras.

3. BCE
Mercoledì 1 luglio a Francoforte ci sarà anche una riunione della Banca Centrale Europea. La BCE negli ultimi mesi ha versato circa 89 miliardi di euro nel sistema finanziario greco, per prevenire rischi di fallimento delle sue banche, e dovrà decidere se estendere o meno le sue linee di credito. Questo tipo di aiuti da parte della BCE è separato dagli altri piani di aiuto e serve per prevenire una crisi di liquidità nel paese. Lo scorso fine settimana il governo greco aveva chiesto alla BCE un fondo di emergenza di 6 miliardi di euro, ma la richiesta era stata rifiutata. Ora, come spiega il Guardian, la BCE si trova in una posizione difficile: da una parte è nella posizione di tenere a galla il sistema finanziario greco, dall’altra c’è il rischio che ogni sua mossa venga percepita come un’indebita interferenza in questioni politiche che non la riguardano.

4. Il referendum
Mentre la Grecia va in default e il suo governo cerca un nuovo accordo con i creditori, i cittadini greci si stanno preparando per votare a un referendum indetto dal governo per decidere se accettare o meno i termini proposti dall’Unione Europea in cambio dei nuovi prestiti di salvataggio alla Grecia. Il referendum è stato indetto tra venerdì 26 e sabato 27 giugno al termine di una lunghissima riunione tra i rappresentanti della Grecia e quelli dell’Unione Europea per il raggiungimento del nuovo accordo: quando l’UE ha presentato la sua ultima proposta, il primo ministro greco Alexis Tsipras ha deciso che sarebbero stati i cittadini a decidere se accettarla o meno, con un referendum. Il referendum di domenica sarà dunque sulla proposta presentata dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale il 25 giugno: una proposta che era ancora una bozza, che la controparte non considera definitiva e che sarà già diventata obsoleta al momento del voto: in parte perché nel frattempo ci sono state le scadenze del 30 giugno, in parte perché un altro accordo potrebbe essere trovato prima di domenica e il governo greco lo sta attivamente cercando. Euclide Tsakalotos, negoziatore del governo greco impegnato nelle trattative con i creditori internazionali, ha comunque detto che il voto di domenica potrebbe essere messo in discussione se alla Grecia venisse fatta “un’offerta che non si può rifiutare”, cosa che al momento appare improbabile, e ha comunque cercato di presentare il referendum come un episodio nella lunga trattativa e non come un momento cruciale.

Se si dovesse arrivare al voto, comunque, ne uscirebbe una situazione paradossale: dovesse vincere il Sì il governo greco e la maggioranza che lo sostiene in parlamento si troverebbero a dover approvare riforme che hanno sempre detto di non voler approvare; se invece vincesse il No i creditori della Grecia potrebbero rifiutarsi di proseguire le trattative e sospenderebbero le linee di credito d’emergenza che negli ultimi mesi hanno permesso di pagare tra le altre cose pensioni e stipendi.

Negli ultimi giorni in Grecia ci sono state diverse manifestazioni sia in favore del Sì che in favore del No al referendum di domenica; Tsipras si è schierato per il No anche se, dice il giornale greco Ekathimerini, tra i ministri del suo governo diversi si sono opposti alla decisione ritenendola controproducente ai fini delle trattative.