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  • Domenica 17 maggio 2015

L’Irlanda e il referendum sui matrimoni gay

Si vota domani: cosa dicono i sondaggi, di cosa si sta parlando in campagna elettorale e cosa faranno i cattolici

(PAUL FAITH/AFP/Getty Images)
(PAUL FAITH/AFP/Getty Images)

Venerdì 22 maggio si terrà in Irlanda uno storico referendum costituzionale sull’equiparazione fra matrimonio eterosessuale ed omosessuale. Benché di rilevanza locale e limitata – in Irlanda è in vigore dal 2010 una legge molto apprezzata sulle unioni civili – gli ultimi giorni di campagna elettorale sono seguiti con molta attenzione dai giornali di tutto il mondo proprio per via del fatto che si tengono in Irlanda, un paese a maggioranza cattolica in cui fino al 1993 praticare “attività omosessuali” era illegale. E la cosa notevole è che secondo i sondaggi il referendum ha buone possibilità di essere approvato: nel caso di vittoria del “sì”, l’Irlanda diventerebbe inoltre il primo paese al mondo a legalizzare il matrimonio gay tramite un voto popolare.

In particolare il referendum chiederà agli irlandesi di esprimersi sull’inclusione di una frase specifica nell’articolo 41 della Costituzione, cioè quello che regolamenta l’istituto della famiglia: «il matrimonio può essere contratto secondo la legge da due persone, senza distinzione di sesso». Il referendum è appoggiato dal governo di coalizione in carica dal 2011, che comprende il partito di centrodestra Fine Gael e il partito laburista. A opporsi sono soprattutto singoli politici, i vescovi e le organizzazioni religiose cristiane: e proprio per il fatto che finora i sondaggi danno per favorita la vittoria del “sì”, i sostenitori del “no” stanno diventando sempre più attivi mano a mano che ci si avvicina al 22 maggio.

Cosa dicono i sondaggi
Che le persone intenzionate a votare sì sono diminuite nel giro di alcune settimane: tra fine marzo e inizio aprile il sì era a più del 70 per cento, mentre oggi, secondo un sondaggio dell’Irish Timesè circa al 58 per cento. Secondo lo stesso sondaggio, effettuato su un campione di 1200 persone, il 25 per cento delle persone contattate voterebbe “no” (il 2 per cento in più di quelle contattate in un primo sondaggio effettuato a marzo) mentre non ha ancora preso una decisione il 17 per cento delle persone coinvolte (a marzo erano il 12 per cento). In ogni caso, tutti i giornali internazionali danno praticamente per certa la vittoria del “sì”: e lo stesso Irish Times ha scritto che ci vorrebbe «una specie di terremoto» affinché vinca il “no”.

Comprensibilmente, i sostenitori del “no” stanno comunque mettendo in dubbio i sondaggi che circolano da mesi: Paddy Monaghan, un cattolico di Dublino a capo di un’associazione cristiana ecumenica che lavora per il “no”, ha detto che «i cristiani provenienti dall’Africa e da altri paesi non sono stati considerati a sufficienza dai sondaggisti e dai giornali irlandesi. Potrebbero essere più nervosi degli altri sul fatto di esprimere la loro vera opinione, e al referendum voteranno “no”. Soprattutto per questa ragione credo che i sondaggisti abbiano sottostimato il “no”». I responsabili di una comunità di cristiani evangelici hanno detto al Guardian di ritenere che fino a 200mila immigrati provenienti dall’Africa e dall’Europa orientale – molti dei quali cristiani e musulmani conservatori – potranno portare numerosi voti al “no”.

Chi vota “sì”
Tutti i principali partiti politici e figure pubbliche hanno dato indicazione di votare “sì”. Il primo ministro Enda Kenny, che è cattolico e fa parte del partito di centrodestra Fine Gael, si è espresso in maniera molto netta a favore dell’approvazione del referendum: in un’intervista al giornale irlandese Sunday Independent ha definito il referendum «un’opportunità che non capiterà una seconda volta», aggiungendo: «se una persona dice di essere gay e di volere sposarsi, è corretto che la sua famiglia gli impedisca di farlo? I nostri cittadini avranno il coraggio di impedirglielo?».

In molti a favore del referendum hanno anche sottolineato l’importanza “storica” del voto. Il noto scrittore irlandese Colm Tóibín, che ha 59 anni e a 20 anni si è trasferito in Spagna a causa dell’estesa omofobia in Irlanda, ha detto al Washington Post che la vittoria del sì «dimostrerà che se la società irlandese ha potuto cambiare in maniera così rapida e radicale, allora anche altri paesi che ci appaiono come conservatori potranno cambiare. Sarebbe un esempio per il mondo intero». Pat Carey, politico irlandese di 67 anni che ha ricoperto diverse cariche ministeriali nella propria carriera e che due mesi fa ha detto di essere gay, ha detto che «viviamo in una nuova epoca. C’è una nuova fascia di persone che vuole un’Irlanda più inclusiva e tollerante».

Nella notte fra venerdì 10 e sabato 11 aprile l’artista irlandese Joe Caslin ha realizzato un enorme murale nel centro di Dublino, che raffigura due uomini mentre si abbracciano (il murale è stato ispirato da un famoso dipinto del pittore irlandese Frederic William Burton). Nei giorni successivi le foto del murale sono circolate moltissimo sui social network, con messaggi di apprezzamento e di sostegno alla campagna del “sì” in vista del referendum.

Anche diversi sacerdoti e suore della Chiesa cattolica hanno incoraggiato i propri fedeli a votare “sì”, dice il Guardian. È il caso ad esempio di Stanislaus Kennedy, 75enne suora cattolica nota in tutto il paese per aver fondato l’associazione per le persone senzatetto Focus Ireland. Kennedy ha detto di avere combattuto per tutta la vita per l’uguaglianza di tutti i membri della società, e che accogliere le richieste delle persone omosessuali sarà un modo per renderli «cittadini a tutti gli effetti». A gennaio un sacerdote di Dublino aveva invitato la sua comunità a votare “sì” al referendum, rivelando poco dopo di essere gay lui stesso. I fedeli presenti lo hanno applaudito.

E il fronte del “no”?
Conta perlopiù i vescovi cattolici e diverse associazioni di cristiani evangelici e pentecostali. Negli ultimi giorni diversi vescovi cattolici hanno pubblicato documenti o incoraggiato i fedeli delle proprie comunità a votare “no”. Diarmuid Martin, l’arcivescovo di Dublino, ha detto per esempio che «la famiglia ottiene un contributo diverso e complementare da parte del padre e della madre», invitando a riflettere sulle «profonde implicazioni che l’emendamento costituzionale avrebbe sulla famiglia e la nostra concezione di genitorialità». Martin ha comunque ammesso che «la severità con cui la Chiesa ha trattato i gay e le lesbiche in passato rende difficile per alcuni capire la posizione della Chiesa». Il Washington Post ha comunque notato che «nonostante le lettere e le omelie contro l’emendamento, la gerarchia cattolica è stata piuttosto morbida, e non ha contrastato il referendum con tutte le sue forze. In un paese dove le notizie di abusi sessuali sui minori da parte di membri della chiesa sono ancora fresche, non è chiaro se i pezzi grossi della Chiesa avrebbero potuto influenzare il dibattito, anche se avessero voluto».

Il Guardian ha invece dedicato un articolo alle “nuove” comunità cristiane d’Irlanda, che spesso sono formate da credenti molto conservatori di rito non cattolico: ha contattato per esempio padre Adewale Kuyebi, pastore di una comunità pentacostale di un quartiere della periferia nordest di Dublino. Kuyebi ha detto che il «cento per cento» dei trecento membri della sua comunità voterà per il “no” perché «sanno bene che legalizzare il matrimonio gay va contro quanto dice la Bibbia». Kuyebi ha aggiunto di aver contattato tramite Whatsapp altri 30mila fedeli, per incoraggiarli a votare contro l’approvazione dell’emendamento costituzionale.

Altre polemiche 
Le due fazioni si stanno anche scambiando delle accuse per quanto riguarda il finanziamento delle campagne elettorali. I sostenitori del “sì” ritengono che nelle ultime settimane i loro avversari abbiano speso decine di migliaia di euro per acquistare spazi pubblicitari nelle città e intere pagine dei quotidiani locali. Una potente associazione statunitense che sostiene unicamente il matrimonio fra uomo e donna, la National Organisation for Marriage (NOM), ha scritto una lettera ai propri iscritti invitando a visitare il sito di un’associazione evangelica irlandese che sta facendo campagna elettorale per il “no”, ma ha negato di avere finanziato una fra le tre più importanti associazioni che stanno facendo campagna elettorale per il “no” (in Irlanda è vietato ricevere contributi dall’estero per le campagne elettorali referendarie). Anche i sostenitori del “no”, comunque, hanno accusato quelli del “sì” di avere ottenuto milioni di dollari da usare per la campagna elettorale dall’associazione no profit Atlantic Philanthropies, gestita dall’imprenditore irlandese-statunitense Chuck Feeney. I sostenitori del “sì” hanno negato le accuse.