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  • Giovedì 14 maggio 2015

I migranti intrappolati in mezzo al mare

Migliaia di persone sono bloccate da una settimana nel Mare delle Andamane, tra il Myanmar e la Thailandia, e nessuno li vuole accogliere: le fotografie fanno impressione

I migranti cercano di prendere del cibo lanciato da un elicottero dell'esercito thailandese. (CHRISTOPHE ARCHAMBAULT/AFP/Getty Images)
I migranti cercano di prendere del cibo lanciato da un elicottero dell'esercito thailandese. (CHRISTOPHE ARCHAMBAULT/AFP/Getty Images)

Aggiornamento del 15 maggio 2015
Circa 600 migranti provenienti dal Bangladesh e dal Myanmar hanno raggiunto le coste di Aceh in Indonesia, dopo avere trascorso giorni in mare su alcune navi di pescatori che li avevano messi in salvo sulle loro imbarcazioni. Secondo le autorità locali sarebbero sbarcati 210 migranti provenienti dal Myanmar e 395 dal Bangladesh. Prima del recupero erano stati respinti dalle autorità marittime della Malesia. Non è ancora possibile fare una stima precisa di quante altre navi di migranti siano ancora bloccate in mare e quante persone siano a bordo.

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Migliaia di migranti bengalesi e rohingya, una minoranza musulmana del Myanmar, sono stati abbandonati a bordo di alcune imbarcazioni mentre erano diretti verso la Thailandia e la Malesia: non è chiaro il numero esatto delle imbarcazioni e nemmeno il numero dei migranti a bordo. Tre barche con centinaia di persone a bordo sono state individuate nel Mare delle Andamane, a sud-est della baia del Bengala, a sud del Myanmar e a ovest della Thailandia. Due sono state respinte dalla Malesia, mentre la terza è bloccata al largo della Thailandia. Alcuni elicotteri militari thailandesi hanno cominciato a lanciare del cibo ai migranti intrappolati nella barca al largo della Thailandia. Le Marine dei paesi dell’area non stanno però facendo sforzi per recuperare le imbarcazioni e la situazione umanitaria dei migranti, che da una settimana si trovano in mezzo al mare senza né acqua né cibo, è diventata gravissima.

I rohingya sono una piccola parte della popolazione del Myanmar e sono i discendenti di alcune persone provenienti dal Bangladesh vendute come schiave durante il periodo coloniale; secondo alcune stime sono fra il 4 e l’8 per cento della popolazione totale del paese, circa 55 milioni di abitanti. In Myanmar sono sistematicamente perseguitati e da anni cercano di rifugiarsi in altri paesi dell’area, tra moltissime difficoltà e maltrattamenti. Il governo birmano non riconosce i rohingya come cittadini del paese, dicendo che sono immigrati recenti dall’India.

Un capitano della Marina thailandese ha detto che “non è la nostra politica portare i migranti nel nostro paese” e che la Thailandia è disposta solo a dare loro benzina o cibo per andare verso un paese terzo. La situazione per i migranti ora è molto grave e diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani parlano di crisi umanitaria. Nel giro di pochi giorni sulle coste di Langkawi – la principale isola di un omonimo arcipelago dello stato malese del Kedah – erano arrivate circa un migliaio di persone. Altre 600 erano arrivate sulle coste dell’Indonesia.

Il problema dell’immigrazione dei rohingya va avanti da diversi anni, ma finora i governi del sud-est asiatico lo hanno ignorato. Negli ultimi tre anni oltre 120mila rohingya hanno lasciato il Myanmar via mare, pagando molto denaro ai trafficanti incaricati di organizzare o effettuare il viaggio. Oltre alla Thailandia, anche la Malesia non ha mostrato l’intenzione di accogliere i migranti bloccati nel Mare delle Andamane: secondo i dati dell’agenzia dell’ONU che si occupa dei profughi, la Malesia accoglie oggi sul suo territorio oltre 150mila profughi, di cui 45 mila rohingya. Il problema è che i profughi non hanno uno status legale riconosciuto, hanno poche opportunità lavorative e scarso accesso ai servizi di base, come la sanità e l’istruzione.

Il vice-ministro della Casa malese, Wan Junaidi Jafaar, ha detto al Guardian: «Siamo stati molto buoni nei confronti delle persone che sono entrati nel nostro territorio. Abbiamo trattato tutti con modi molto umani ma non possiamo avere un flusso di questo tipo sulle nostre coste. Dobbiamo mandare un giusto messaggio, cioè che loro non sono benvenuti qui». Il primo ministro thailandese, Prayuth Chan-ocha, ha detto che il suo governo non ha le risorse per poter accogliere un numero così elevato di profughi: «Se facciamo entrare loro, allora chiunque vorrà entrare lo farà liberamente. Mi chiedo se la Thailandia sia in grado di prendersi cura di tutti loro. Da dove prendiamo i soldi? Nessuno li vuole. Tutti vogliono un paese di transito – come il nostro – che si prenda la responsabilità. È giusto?».