L’editoriale del New York Times a favore dei diritti transgender

Uno dei quotidiani più autorevoli del mondo ha invitato Obama ad affrontare una questione considerata importante e urgente

Il New York Times, quotidiano statunitense tra i più famosi e autorevoli al mondo, ha affrontato in un suo editoriale la questione dei diritti delle persone transgender, portando così avanti un dibattito presente negli Stati Uniti già da qualche tempo e che in Italia sembra non essere (quasi) mai nato. L’editoriale si presenta come la prima parte di un progetto più ampio, il cui sviluppo dipenderà anche dalla reazione e partecipazione dei lettori (una parte della pagina dell’editoriale consente infatti ai lettori di caricare un video e raccontare la propria storia).

Per quanto le condizioni di vita dei transgender siano cambiate negli ultimi anni, scrive il New York Times, cercare di seguire la propria identità sessuale al di là di ogni facile distinzione tra “eterosessualità” e “omosessuallità, “maschile” e “femminile” è ancora oggi inutilmente difficile e faticoso.

In passato i transgender erano considerati dei deviati, soggetti non adatti ai luoghi di lavoro, una vergogna per le loro famiglie. Venivano compatiti o respinti. Le procedure mediche che servivano per armonizzare il corpo di una persona e la sua identità di genere – una specie di senso interno che ti fa sentire maschio, femmina, o qualcosa d’altro – erano praticate solo da pochi medici e ad appannaggio solo di chi se le poteva pagare di tasca sua. Essere transgender oggi è ancora inutilmente difficile e faticoso, ma la situazione non è senza speranza. Sempre più americani iniziano a combattere apertamente a favore dei diritti transgender, seguendo la strada aperta dei movimenti a favore dei diritti gay. Ma proprio conducendo questa battaglia ci si rende conto che nonostante ci sia più tolleranza, le politiche ostili, gli atteggiamenti discriminatori e la disinformazione rimangono delle costanti.

Con il termine “transgender” ci si riferisce, in senso generale, a tutte quelle persone che non sono in sintonia con il proprio genere biologico di appartenenza. Questa precisazione terminologica è utile per capire la complessità della questione posta dal New York Times. “Transgender” è un termine contenitore usato comunemente per indicare situazioni ed esperienze di vita molto diverse: transgender è chi decide di vestirsi come il sesso a cui sente realmente di appartenere, chi si sottopone a terapie ormonali o direttamente a un’operazione chirurgica per cambiare sesso (in questi ultimi casi si parla anche di transessuali, finché la transizione verso l’altro sesso non è stata completata), e chi rifiuta di doversi identificare con uno dei sessi e preferisce invece incarnare una sorta di “terzo sesso”. L’utilizzo di un’etichetta così vasta per indicare una molteplicità di significati differenti, osserva il New York Times, costituisce già una sfida: decidere di intraprendere una battaglia a favore dei diritti dei transgender significa anche tutelare questa diversità semantica.

Da un punto di vista strettamente scientifico non è ancora chiaro cosa succeda a chi non si sente in sintonia con il proprio genere di appartenenza. Sempre a proposito di terminologia, l’associazione degli psichiatri americani nel 2013 ha deciso di aggiornare il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” e modificare la definizione clinica del fenomeno transgender, che oggi non viene più considerato “un disturbo di identità di genere” ma semplicemente “una disforia di genere”. L’intento era eliminare il termine “disturbo” per evitare facili forme di stigmatizzazione e agevolare l’integrazione dei transgender nella società.

Chiaramente la comunità transgender cui si riferisce l’editoriale del New York Times è quella statunitense: una comunità numerosa, anche se è difficile stabilire con precisione da quante persone sia costituita perché molti transgender continuano ancora oggi a celare la loro situazione. Questo accade perché i transgender sono ancora vittime di discriminazioni e pregiudizi, e i loro tentativi di integrarsi a tutti gli effetti nella società incontrano spesso forti resistenze.

Il New York Times sottolinea due cose importanti, e non esattamente scontate per un dibattito che coinvolge ancora poche persone: che i diritti dei transgender non sono i diritti dei gay e che i transgender rimangono ancora una delle minoranze in assoluto più discriminate della società.

Nel corso degli ultimi decenni il movimento transgender ha partecipato alle rivendicazioni delle minoranze sessuali, ma laddove i gay e le lesbiche sono riusciti ad ottenere una serie di vittorie giuridiche e politiche, i transgender, che possono essere gay o etero, rimangono tra i cittadini più emarginati in assoluto. Devono affrontare molte difficoltà, tra cui quelle legate alle cure mediche, che spesso vengono dimenticate dalle lotte per i diritti omosessuali. I gay e le lesbiche sono ormai riusciti a integrarsi nel nostro immaginario quotidiano e molti sono diventati personaggi famosi che ricoprono ruoli importanti. I transgender invece sono rimasti invisibili fino a poco tempo fa.

I casi di transgender che sono riusciti ad ottenere una buona visibilità sono aumentati negli ultimi tempi ma rimangono comunque pochi. Il New York Times cita alcune storie: Chelsea Manning, il militare americano condannato per aver diffuso documenti riservati e averli consegnati a WikiLeaks, ha ottenuto un riconoscimento formale all’anagrafe del suo nuovo genere, ed è diventato un’attivista che si batte a favore dei diritti transgender. Ci sono però situazioni in cui la rivendicazione dei propri diritti però passa attraverso il suicidio, come nel caso di Leelah Alcorn, una transgender di 17 anni che lo scorso dicembre si è suicidata buttandosi sotto un camion e lasciando una lettera in cui dichiarava che non avrebbe riposato in pace finché ai transgender non fossero stati riconosciuti gli stessi diritti basilari che vengono riconosciuti alle altre persone.

La discriminazione nei confronti dei transgender assume ancora forme particolarmente odiose:

In diversi stati i transgender si stanno battendo per poter usare liberamente i bagni pubblici. In West Virginia le donne transgender hanno manifestato contro i funzionari della motorizzazione che non hanno voluto rinnovare loro la patente perché dalla foto sul documento non si riusciva a capire bene il loro sesso. Da una recente indagine governativa è emerso che almeno a 1 transgender su 5 sono state negate le cure mediche necessarie.

A partire dallo scorso anno il Dipartimento di Giustizia statunitense ha dichiarato illegali le discriminazioni di identità di genere (quindi anche nei confronti dei transgender) ai sensi del Civil Rights Act, la famosa legge americana sui diritti civili. Obama secondo il New York Times è stato sicuramente il presidente che ha lavorato di più su questo tema, tuttavia uno dei problemi maggiori rimane ancora l’esclusione dei transgender dall’esercito americano: non possono arruolarsi e se decidono di svelare la loro identità a carriera avviata rischiano di essere estromessi e di dover rinunciare a tutti i loro diritti, compresa la pensione. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha di recente accettato di incontrare un gruppo di ex marines transgender per valutare la possibilità di integrare formalmente i transgender nell’esercito americano, cercando il modo migliore per sfruttare le loro potenzialità.

Il dibattito sui diritti transgender così attivo negli Stati Uniti, nonostante gli sforzi del MIT (Movimento Identità Transessuale), non riesce a prendere piede allo stesso modo in Italia, dove sono presenti in parte gli stessi problemi denunciati dal New York Times (e per giunta nemmeno parzialmente alleviati dal successo delle rivendicazioni dei diritti omosessuali). In Italia non esiste una legge precisa a tutela dei diritti dei transgender: il riconoscimento formale della loro identità all’anagrafe può avvenire solo a seguito di una operazione chirurgica completa, le cui spese vengono però coperte dall’assistenza sanitaria regionale.

Foto AP Photo/Marko Drobnjakovic