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  • Mercoledì 6 maggio 2015

Quello che siamo diventati

La diffidenza della scuola sul troppo potere ai presidi racconta un circolo vizioso senza soluzione, spiega Marco Imarisio

circa 1839: Cane in hand, the Yorkshire schoolmaster, Mr Squeers from 'Nicholas Nickleby', by Charles Dickens. (Photo by Rischgitz/Getty Images)
circa 1839: Cane in hand, the Yorkshire schoolmaster, Mr Squeers from 'Nicholas Nickleby', by Charles Dickens. (Photo by Rischgitz/Getty Images)

Il Corriere della Sera di mercoledì affianca alle cronache sulle manifestazioni contro la riforma della scuola del governo Renzi un commento di Marco Imarisio sul “riflesso condizionato” per cui ogni potere – in questo caso quello dei dirigenti scolastici – implichi imbrogli, nepotismi e corruzioni inevitabili, riflesso che prevale sulla ricerca di contrappesi e correttivi nei confronti del potere, tipici delle democrazie.

Sono tutti uguali, rubano tutti alla stessa maniera. Il riflesso condizionato scatta a ogni occasione, che sia l’assemblea di condominio o il dibattito sulle riforme di Stato, senza mai concedere il beneficio del dubbio e dell’onestà altrui. Non c’è stato politico, docente, sindacalista contrario alla «Buona scuola» e alla sue novità che nel contestare l’eventuale eccesso di potere dei presidi non abbia sentito il dovere di lanciare severi moniti sulla minaccia incombente del familismo, dei favori agli amici degli amici o alle fidanzate di turno, e naturalmente della corruzione, spettro che in questo Paese viene evocato in qualunque contesto e quasi sempre con ottime ragioni. Il timore di un ruolo troppo importante dato ai dirigenti scolastici, ovvero a singole persone, ha fatto emergere una mancanza di fiducia che ovviamente trascende le loro funzioni.

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(il preside Squeers di ‘Nicholas Nickleby’, il romanzo di Charles Dickens, 1839; Rischgitz/Getty Images)