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  • Mercoledì 6 maggio 2015

Il caso della bambina incinta a cui è stato negato l’aborto, in Paraguay

Ha 10 anni, è stata stuprata dal patrigno, ma la legge non permette che possa interrompere la gravidanza: ci sono proteste e petizioni un po' ovunque

MADRID, SPAIN - FEBRUARY 01: A protesters gesture with the hands during a pro-abortion protest on February 1, 2014 in Madrid, Spain. Pro-choice groups organized the 'Freedom Train' from Gijon to Madrid to protest against the government's plan to restrict access to abortion. Thousands of people gathered in Madrid today to demonstrate against the government's new legislation on abortion, which would restrict access to terminations to cases of rape or when there is a serious mental or physical risk to the mother. (Photo by Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)
MADRID, SPAIN - FEBRUARY 01: A protesters gesture with the hands during a pro-abortion protest on February 1, 2014 in Madrid, Spain. Pro-choice groups organized the 'Freedom Train' from Gijon to Madrid to protest against the government's plan to restrict access to abortion. Thousands of people gathered in Madrid today to demonstrate against the government's new legislation on abortion, which would restrict access to terminations to cases of rape or when there is a serious mental or physical risk to the mother. (Photo by Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)

In Paraguay è stato negato l’aborto a una bambina di dieci anni che, come denunciato dalla madre, è stata violentata dal patrigno. Nonostante la richiesta della donna e una protesta che è diventata nel giro di pochi giorni internazionale, i medici dell’ospedale dove la bambina era stata ricoverata lo scorso 21 aprile per dei dolori addominali hanno detto che non ci sono rischi gravi per la sua salute. La stessa cosa è stata ribadita dal ministro della Salute, Antonio Carlos Barrios Fernández. In Paraguay l’aborto è permesso solo quando la vita di una donna è a rischio: in tutte le altre circostanze, anche se la gravidanza è il risultato di uno stupro o di un incesto, o anche in caso di gravi malformazioni del feto, l’interruzione di gravidanza non è consentita.

La bambina – il cui nome non è stato reso pubblico perché è minorenne – viveva con i due fratelli, la madre e il patrigno in una stanza in affitto a Luque, non lontano dalla capitale Asunción. La madre, che lavora nel bar di una scuola, a gennaio del 2014 aveva denunciato che il marito abusava sessualmente della figlia, ma le autorità non avevano preso in considerazione la sua denuncia. Lo scorso 21 aprile la donna aveva portato la figlia in ospedale perché aveva forti dolori alla pancia, dicendo che temeva avesse un cancro allo stomaco. La bambina era invece alla ventunesima settimana di gravidanza. La madre ha chiesto ai medici di eseguire un aborto ma le è stato negato. Solo a quel punto sono partite le indagini per gli abusi denunciati mesi prima: la bambina è stata presa in tutela dai servizi sociali e trasferita in un ospedale della Croce Rossa; la madre il 27 aprile è stata incarcerata con l’accusa di non aver compiuto in modo adeguato il suo dovere di cura e tutela. Un giudice sta valutando ora un’ulteriore accusa: quella di favoreggiamento, poiché la madre sarebbe stata complice dello stupro e della fuga del patrigno, attualmente ricercato dalla polizia.

Il comportamento delle autorità del Paraguay ha causato numerose reazioni e proteste, da parte dei gruppi per i diritti umani e delle attiviste femministe. Amnesty International ha detto che le restrizioni al diritto di aborto del Paraguay violano il diritto internazionale: uno dei portavoce dell’organizzazione, Guadalupe Marengo, ha detto che «l’impatto fisico e psicologico di costringere una ragazzina a portare avanti una gravidanza indesiderata è paragonabile alla tortura»; è stata anche aperta una petizione online e Lilian Soto, attivista femminista del Centro de Documentación y Estudios che si occupa di diritti delle donne, ha detto che il sistema giudiziario del Paraguay «ha fallito, punendo ingiustamente la madre e mettendo a rischio la vita di una minore a causa di una convinzione religiosa».

Il caso è stato ripreso e raccontato dai principali giornali internazionali: la giornalista femminista Jessiva Valenti ha scritto sul Guardian:

«I pericoli sono chiari. La gravidanza di una bambina mette a rischio non solo la sua salute emotiva e mentale, ma la sua salute fisica e forse anche la sua vita. La decisione del Paraguay di non interrompere la gravidanza non ha nulla a che fare con il rischio reale per la bambina coinvolta, ma ha a che fare con la volontà di adesione a una legge antiquata e tortuosa che preferisce mettere a rischio la vita di una minore piuttosto che ammettere che le sue politiche anti-aborto sono troppo rigide. Se quelli che vogliono vedere questa giovane ragazza partorire sono veramente a favore della vita, di quale vita si stanno preoccupando? Perché non è certo quella della bambina di dieci anni costretta a far nascere il figlio del suo violentatore a essere al centro di questa storia. Questa giovane e anonima ragazza – questa bambina – è già stata violata da un membro della sua famiglia. Deve essere violata anche dal suo paese?»

In molti hanno infine invitato le autorità a istituire un comitato medico indipendente per valutare il caso in modo libero. Il governo ha istituito una commissione ma con l’obiettivo principale di valutare le condizioni di salute della bambina che, è stato ribadito, sono attualmente «normali». Secondo i dati del Fondo dei popoli delle Nazioni Unite, in Paraguay il 2,13 per cento delle morti materne si riferiscono a bambine tra i 10 e 14 anni.

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