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  • Lunedì 27 aprile 2015

Il traffico di migranti, raccontato dagli scafisti

Un giornalista del Guardian ha incontrato chi organizza i viaggi nel Mediterraneo, si è fatto spiegare come funzionano e quanto costano (e perché molte delle cose che ne diciamo qui non hanno senso)

Rescued migrants line up after disembarking from the Italian Coast Guard ship 'Fiorillo' in the harbor of of Lampedusa, Southern Italy, Wednesday, April 22, 2015. Italy pressed the European Union on Wednesday to devise concrete, robust steps to stop the deadly tide of migrants on smugglers' boats in the Mediterranean, including setting up refugee camps in countries bordering Libya. Italian Defense Minister Roberta Pinotti also said human traffickers must be targeted with military intervention. (AP Photo/Mauro Buccarello)
Rescued migrants line up after disembarking from the Italian Coast Guard ship 'Fiorillo' in the harbor of of Lampedusa, Southern Italy, Wednesday, April 22, 2015. Italy pressed the European Union on Wednesday to devise concrete, robust steps to stop the deadly tide of migrants on smugglers' boats in the Mediterranean, including setting up refugee camps in countries bordering Libya. Italian Defense Minister Roberta Pinotti also said human traffickers must be targeted with military intervention. (AP Photo/Mauro Buccarello)

Il giornalista britannico Patrick Kingsley – corrispondente in Egitto per il Guardian e vincitore di diversi premi internazionali di giornalismo – ha scritto venerdì un lungo articolo sul Guardian per raccontare il traffico illegale di migranti nel Mar Mediterraneo Centrale, visto dalla costa libica. Kingsley ha cercato di capire chi sono gli scafisti che sia l’Unione Europea che il governo italiano hanno detto di voler combattere. Ha raccontato degli interminabili viaggi che compiono i migranti per arrivare ai porti libici da cui partono le navi e ha messo insieme approssimativamente i costi di una traversata del Mediterraneo. Sono tutte informazioni utili per capire la portata del fenomeno e le difficoltà che dovrà affrontare l’Unione Europea – e anche l’Italia – per fare quello che ha detto di voler fare sull’immigrazione clandestina.

Le navi dei migranti, che sono navi per pescare
Giovedì 23 aprile l’Unione Europea ha annunciato che avrebbe avviato operazioni militari contro i trafficanti che hanno la loro base in città portuali come Zuwara, nel nord-ovest della Libia, vicino al confine con la Tunisia, di cui parte la maggioranza degli immigrati che arrivano in Italia. La sera di giovedì il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha aggiunto che il piano ha l’obiettivo di «catturare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti prima che loro le possano usare». Il problema, ha raccontato Kingsley dopo avere parlato con un ex trafficante di esseri umani e altri due uomini che continuano ancora oggi a portare i migranti al di là del Mediterraneo, è che per fare quello che ha detto di voler fare l’Unione Europea dovrebbe bombardare e distruggere tutto il porto di Zuwara.

A Zuwara, come in altri porti libici, non esiste una differenza netta tra pescherecci e imbarcazioni usate per il traffico di esseri umani: la transizione è “impercettibile” e piuttosto rapida. Un trafficante che Kingsley ha chiamato Hajj ha detto: «Una delle ragioni per cui il pesce libico è così costoso è la mancanza di pescherecci che vadano in mare a pescare. Sono usati tutti dai trafficanti di persone». Hajj, 33 anni, laureato in legge, non è preoccupato per le ultime decisioni dell’Unione Europea: «Non mi sento minacciato. Succede da anni che vengano fatte promesse e minacce. Non faranno niente. Cosa dovrebbero fare, mettere due fregate qui? Due navi da guerra? Nelle acque territoriali libiche? Sarebbe un’invasione». C’è poi la difficoltà di individuare i trafficanti. Hajj ha raccontato: «Nessuno ha la scritta “trafficante” sul petto. Chiunque qui può vendere il suo appartamento, comprare una barca e organizzare un viaggio fino all’altra parte del Mediterraneo. Il tempo di organizzare il secondo viaggio e ha già recuperato il costo dell’appartamento venduto. È una formula molto semplice».

Le rotte attraverso il Sahara
Secondo Kingsley l’opzione militare non può funzionare anche per un’altra ragione. Il traffico di esseri umani è diventato un mercato redditizio non solo nelle economie costiere libiche, ma anche in diversi punti del Nordafrica da cui passano i migranti per arrivare in Libia. Ci sono moltissimi modi per raggiungere i posti da dove partono le navi: Samer Haddadin, il capo dell’agenzia a Tripoli che si occupa di profughi per l’ONU, ha detto che bisogno pensare alla Libia come a un paese che «ha due mari. C’è il Mediterraneo. Ma a sud della Libia c’è il mare del Sahara. Ci sono persone che arrivano da sud, dal Niger o dal Sudan, il cui viaggio è molto rischioso». Ci sono i siriani – il gruppo più numeroso che ha attraversato il Mediterraneo lo scorso anno – che arrivano in Libia attraversando diversi paesi (Giordania, Egitto e poi Sudan). Le persone che arrivano dall’Africa Occidentale – tra cui nigeriani, ghanesi e senegalesi – arrivano spesso in Libia attraversando il Niger e il Mali e passando sotto le zone controllate da parecchi trafficanti.

Durante il viaggio verso la Libia attraverso vari paesi africani i migranti rischiano di essere rapiti o costretti alla schiavitù. Kingsley scrive che ci sono molte storie di trafficanti che hanno abbandonato i loro “clienti” tra le dune del deserto, lasciandoli morire di sete. Indicativamente ci sono due modi per raggiungere la Libia. Il più rapido è compiere il viaggio tutto in una volta: Bayin Keflemekal, 30 anni, infermiera dall’Eritrea, ha pagato circa 6.500 euro per raggiungere la costa libica attraverso il Sudan, a bordo di diversi pick-up. Altri migranti ci arrivano facendo delle tappe intermedie, fermandosi quindi per diversi mesi in altri paesi per guadagnare i soldi necessari a proseguire il viaggio.

Come si arriva fino alla barca
Kingsley ha scritto che non è facile sintetizzare quello che succede dopo, perché ogni trafficante usa tecniche diverse per portare i migranti verso le coste italiane. Hajj per esempio usa sia dei pescherecci in legno – comprati dai pescatori – sia dei gommoni Zodiac, che dice essere più sicuri. Un altro trafficante, che Kingsley chiama Ahmed, dice invece che è impossibile raggiungere le coste italiane con i gommoni Zodiac. I migranti vengono portati sulle spiagge da dove partono le imbarcazioni generalmente da un intermediario, a cui il trafficante paga una cifra stabilita: Ahmed per esempio ha detto di pagare l’intermediario circa 350 euro a viaggio.

Quello che invece pagano i migranti per farsi trasportare dall’altra parte del Mediterraneo dipende dalla loro provenienza. Hajj ha detto che un africano subsahariano normalmente paga una cifra compresa tra i 740 e 920 euro, un siriano non oltre i 2.300 euro, un marocchino non oltre i 1.500 euro. Hajj ha detto che i siriani tendono a pagare di più per garantirsi più sicurezza durante il viaggio, mentre i subsahariani, che hanno meno soldi, non chiedono garanzie. Hajj ha spiegato che i prezzi in questo periodo si sono abbassati, visto che la domanda è aumentata e i trafficanti cercano di riempire le loro barche con più persone possibile. I guadagni dei trafficanti, scrive Kingsley, sono difficili da quantificare perché dipendono da diversi fattori, come la grandezza delle imbarcazioni usate e il numero di persone che si trasportano. Ahmed ha stimato comunque che i profitti del suo gruppo siano intorno a 34mila euro per viaggio: in una settimana di lavoro più intenso, in cui vengono fatte partire anche 20 barche, il guadagno può arrivare a 700mila euro.

Hajj e Ahmed hanno spiegato come funziona l’imbarco: ai migranti viene fatta una telefonata e viene detto di trovarsi in un posto specifico. Da qui i migranti vengono trasferiti in un luogo sicuro: non possono portare cellulari né bagagli, viene dato loro da mangiare e da bere e la possibilità di usare il bagno, prima dell’imbarco. La permanenza nel posto indicato dagli scafisti può durare un tempo variabile: Shady, 34enne proveniente dalla Siria, è rimasto chiuso in una casa in attesa dell’imbarco per quattro mesi: «Parecchie volte hanno detto: stiamo per partire. Ma non succedeva mai. Due volte abbiamo raggiunto la spiaggia ma poi siamo tornati indietro. Solo una volta siamo arrivati all’imbarcazione, ma poi ci hanno detto che non c’era più spazio».

E il viaggio in mare?
I modi per lasciare il porto libico, raccontano Hajj e Ahmed, sono diversi, ma tutti prevedono la corruzione di uomini della Guardia costiera libica per “chiudere un occhio”. I migranti vengono fatti salire a bordo della barca di notte: viene dato loro un telefono satellitare, un localizzatore GPS, dei salvagenti (venduti loro circa 5 euro l’uno), del cibo e dell’acqua e gli viene detto di stare seduti al loro posto. Hajj ha detto: «Diamo loro istruzione di non muoversi troppo. Possono alzarsi e sedersi, ma non andare da una parte all’altra dell’imbarcazione. Se due o tre cominciano a farlo, anche gli altri vorranno farlo. Si crea il caos e questo provoca il ribaltamento della barca». Chi conduce la barca di solito non è lo stesso trafficante che organizza il viaggio: a volte sono persone che hanno qualche tipo di esperienza in mare, altre volte sono pescatori egiziani o tunisini che vogliono solo arrivare in Europa. Altre volte è qualcuno dei migranti che dice di avere capacità di condurre una barca e che si offre. Il capitano infatti viaggia gratis.

Sia Hajj che Ahmed hanno ammesso che il loro obiettivo principale non è raggiungere le coste italiane, ma far intervenire la Guardia costiera italiana o maltese, in modo che si prendano carico dell’imbarcazione. Spesso le barche puntano verso alcune petroliere che si trovano al largo di Lampedusa, sperando che le persone a bordo vedano i barconi e chiamino le autorità italiane o maltesi per i soccorsi. I trafficanti non hanno però grande conoscenza dei programmi italiani ed europei sull’immigrazione, scrive Kingsley: per esempio non sanno che a ottobre è stato cancellato Mare Nostrum, sostituito poi da Triton, operazione che ha l’obiettivo di controllare le acque internazionali fino a 30 miglia dalle coste italiane, ma non impegnata nel soccorso dei migranti.