• Sport
  • Domenica 26 aprile 2015

Il calcio brasiliano è in crisi

Molte squadre della Série A sono piene di debiti e costrette a vendere all'estero i loro giovani migliori: il governo di Dilma Rousseff ha detto di volere intervenire

Guilherme (R) of Corinthians vies for the ball with Andre Santos (L) of Flamengo during their Brazilian championship football match at Pacaembu stadium in Sao Paulo, Brazil on April 27, 2014. AFP PHOTO / NELSON ALMEIDA (Photo credit should read NELSON ALMEIDA/AFP/Getty Images)
Guilherme (R) of Corinthians vies for the ball with Andre Santos (L) of Flamengo during their Brazilian championship football match at Pacaembu stadium in Sao Paulo, Brazil on April 27, 2014. AFP PHOTO / NELSON ALMEIDA (Photo credit should read NELSON ALMEIDA/AFP/Getty Images)

Il giornalista del New York Times Dan Horch ha pubblicato un lungo articolo sulla crisi del più importante campionato di calcio brasiliano, la Série A, la cui nuova stagione inizierà il 9 maggio (in Brasile il campionato dura da maggio a dicembre). Il problema, spiega Horch, è sia economico sia sportivo: la maggior parte delle squadre è pesantemente indebitata con il governo e con le banche brasiliane e di conseguenza è costretta a cedere i giocatori più bravi all’estero sin da giovanissimi: fino a poco venivano ceduti solamente dopo aver passato alcune stagioni in Brasile. Già da anni le più forti squadre brasiliane sono considerate molto più deboli di quelle europee, ma secondo Horch la loro condizione sta peggiorando. La situazione è così grave che il governo di Dilma Rousseff – a cui le squadre di Série A devono circa 1,2 miliardi di euro di tasse arretrate – ha proposto una legge che nel caso venisse approvata obbligherebbe tutte le squadre di calcio a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2021. In tutto questo, il Brasile stesso è in una complicata situazione economica: negli ultimi anni ha avuto un tasso di crescita molto basso, e secondo l’Economist nel 2015 avrà un PIL inferiore a quello registrato nel 2014.

Otto squadre fra le dodici migliori del campionato hanno debiti stipendi arretrati da pagare: è stato stimato che nel 2014 solo il Flamengo, la squadra più popolare in Brasile, è riuscito a pagare tutte le tasse e rispettare gli impegni presi coi propri creditori. Anche il Cruzeiro, la squadra della città di Belo Horizonte che ha vinto il campionato sia nel 2013 che nel 2014, è in difficoltà. Nell’ultima sessione di calciomercato è stata costretta a vendere i suoi giovani giocatori migliori: ha ceduto i centrocampisti Ricardo Goulart ed Everton Ribeiro rispettivamente ai cinesi del Guangzhou Evergrande e all’Al-Ahli, una delle squadre di Dubai, per 15 milioni di euro ciascuno. In generale, è stato stimato che più di 1.200 giocatori brasiliani verranno venduti all’estero nel corso del 2015.

Le squadre brasiliane godono di un particolare regime fiscale per cui non vengono trattate come una qualsiasi società privata: sono spesso in mano a fondazioni no profit controllate dai propri azionisti – cioè i tifosi, che sono tenuti solamente a versare una quota associativa – e i cui dirigenti non ricevono uno stipendio. Nonostante paghino molte meno tasse rispetto a una normale società privata, sono comunque tenute a versare alcuni contributi allo stato: spesso decidono di non farlo per sostenere altre spese, e il governo già in passato ha approvato delle specie di condoni sulle loro tasse arretrate.

Molti degli attuali problemi delle società, scrive Horch, vanno attribuiti ad anni di cattiva gestione: spesso i tifosi/azionisti eleggono come dirigenti persone che promettono investimenti e successi nell’immediato, non tenendo però conto della gestione a lungo termine. Nel 2013, per esempio, il Corinthians ha speso una cifra di soldi enorme per il campionato brasiliano – 15 milioni di euro – per acquistare l’attaccante brasiliano Alexandre Pato dal Milan, reduce da alcuni lunghi infortuni, per poi darlo in prestito solamente l’anno successivo ai rivali storici del San Paolo.

Molte delle squadre brasiliane sono comunque contrarie all’introduzione della nuova legge, che le obbligherebbe a spendere il 70 per cento delle proprie entrate nel pagamento degli stipendi e a rispettare le scadenze del pagamento delle tasse. Secondo un analista finanziario sportivo contattato dal New York Times, per rispettare i parametri stabiliti dalla nuova legge ciascuna squadra dovrebbe tagliare la cifra che attualmente spende per gli stipendi del 30 per cento, venendo costretta quindi a ridurre ulteriormente gli investimenti per comprare e pagare giocatori forti.

nella foto: un giocatore del Flamengo e uno del Corinthians (NELSON ALMEIDA/AFP/Getty Images)