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  • Martedì 14 aprile 2015

#BringBackOurGirls, è passato un anno

Un anno fa 276 studentesse sono state rapite in Nigeria: sono diventate il simbolo di una strategia di stupri e rapimenti oggi considerata sistematica e non se ne sa ancora nulla

People march during a silent protest calling on the government to rescue the kidnapped girls of the government secondary school in Chibok, who were abducted a year ago, in Abuja, Nigeria, Monday, April 13, 2015. Nearly 300 schoolgirls from Chibok were abducted in a mass kidnapping on the night of April 14-15. Dozens escaped on their own but 219 remain missing. (AP Photo/Sunday Alamba)
People march during a silent protest calling on the government to rescue the kidnapped girls of the government secondary school in Chibok, who were abducted a year ago, in Abuja, Nigeria, Monday, April 13, 2015. Nearly 300 schoolgirls from Chibok were abducted in a mass kidnapping on the night of April 14-15. Dozens escaped on their own but 219 remain missing. (AP Photo/Sunday Alamba)

Nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2014, quindi un anno fa, 276 studentesse tra i 15 e i 18 anni sono state rapite in un dormitorio della scuola di Chibok, nel nord-est dello stato di Borno, nella Nigeria nord-orientale. A un anno dal sequestro non si hanno ancora loro notizie precise. Nel frattempo continuano a svolgersi con regolarità nella capitale della Nigeria cortei composti soprattutto da donne che da circa un anno, e anche in occasione del primo anniversario dal sequestro, chiedono la libertà delle studentesse, diventate ormai una specie di simbolo.

Il rapimento e le novità, poche
Dopo l’attacco al dormitorio della notte del 14 aprile 2014 da parte di un gruppo di uomini armati, delle studentesse non si era avuta alcuna notizia fino al 5 maggio, quando Boko Haram aveva rivendicato il rapimento e aveva detto che le ragazze sarebbero state vendute. Il 12 maggio era stato poi pubblicato un video dove il capo dell’organizzazione, Abubakar Shekau, aveva parlato per circa 17 minuti, aveva annunciato che le donne erano state “convertite all’Islam” e aveva detto che sarebbero state liberate in cambio del rilascio di tutti i militanti arrestati dalle autorità nigeriane.

Il caso, dopo un iniziale disinteresse, era stato raccontato e seguito dai governi e dalla stampa nel mondo diventando una questione internazionale, con manifestazioni di protesta, con campagne per la liberazione delle donne (#BringBackOurGirls) e con l’invio di un gruppo di militari e di esperti da parte di Stati Uniti e Regno Unito per assistere la polizia locale nella ricerca (tutto questo dopo la diffusione della possibile notizia che le ragazze fossero state vendute come “spose”).

Michelle Obama

Fin dal rapimento l’esercito nigeriano, il governo e l’allora presidente del paese Goodluck Jonathan erano stati molto criticati – sia in Nigeria che all’estero – soprattutto per le molte carenze dei militari nigeriani: male addestrati, male armati e spesso corrotti. Inoltre Goodluck Jonathan aveva sempre detto di non voler trattare con i terroristi e di non voler cedere a uno scambio con altri prigionieri, cosa che gli aveva attirato altre critiche.

Nonostante gli sforzi per le ricerche, i risultati erano stati insoddisfacenti e lo sono tuttora. Sulle studentesse rapite non ci sono molte novità. Un rapporto di Amnesty International pubblicato oggi, nel giorno dell’anniversario del rapimento, cita fonti militari di alto rango e conferma sostanzialmente quello che già si sapeva: le studentesse sono state separate in tre o quattro gruppi e smistate in vari campi controllati dal gruppo islamista. Alcune di loro si troverebbero nella foresta di Sambisa, un’area di centinaia di migliaia di chilometri quadrati nel nord-est della Nigeria; altre ancora sarebbero nella zona del lago Ciad e delle montagne che separano la Nigeria dal Camerun; altre ancora, infine, sarebbero state portate in Ciad. L’esercito nigeriano ha detto più volte in passato di sapere dove si trovano le ragazze, ma anche che un’operazione di salvataggio per la loro liberazione sarebbe stata troppo rischiosa.

Gli altri rapimenti
Da quel primo sequestro ci sono state molte altre notizie di episodi simili. La più recente risale allo scorso 25 marzo quando circa 500 donne e bambini, tra gli abitanti della città nigeriana di Damasak, sono state prelevate durante un attacco di Boko Haram e portate via prima che i miliziani lasciassero la città. Nel rapporti di Amnesty International, si dice che sono almeno 2 mila le donne e le bambine che sono state rapite dal gruppo islamista dall’inizio del 2014. L’organizzazione ha elencato 38 nuovi casi di sequestri di massa commessi da Boko Haram intervistando anche 28 donne che sono poi riuscite a fuggire dai villaggi dove erano state portate. Tutte hanno descritto condizioni di detenzione spaventose, hanno detto di essere state costrette a sposare dei miliziani e molte hanno raccontato di essere state ripetutamente stuprate.

«Sono stata violentata più volte quando ero nel campo. A volte erano in cinque. A volte in tre, a volte in sei. Questo è continuato per tutto il tempo che sono rimasta lì. Succedeva soprattutto la notte (…) Alcuni di loro erano miei ex compagni di classe del mio villaggio. Chi mi conosceva tendeva a essere ancora più violento con me».

Altre ex prigioniere hanno detto di essere state costrette a imparare a usare le armi e a fabbricare bombe artigianali. Una di loro, Aisha – che in tre mesi di prigionia è stata regolarmente violentata e ha raccontato l’omicidio di più di 50 persone, tra cui sua sorella – ha raccontato di essere stata mandata in una zona di combattimento per lanciare delle bombe e attaccare il suo stesso villaggio. Nei campi risulta poi che le donne siano indottrinate dal gruppo alla loro versione dell’Islam in vista del matrimonio. Le testimonianze confermano quanto spiegato da diversi analisti politici e cioè che negli ultimi mesi l’insurrezione di Boko Haram è entrata in una nuova fase molto più aggressiva. Di questa nuova strategia fanno parte i sistematici rapimenti di donne, stuprate e ridotte a oggetti sessuali per i miliziani o indottrinate all’Islam radicale in vista di un loro matrimonio o di una loro adesione alla causa.

Nel frattempo
Lo scorso marzo si sono svolte in Nigeria le elezioni presidenziali: Goodluck Jonathan, i cui anni al potere sono stati caratterizzati soprattutto dagli scandali sulla corruzione e dall’ascesa dell’organizzazione terrorista islamica Boko Haram, è stato sconfitto dall’ex generale Muhammadu Buhari, musulmano. Buhari, tra le altre cose, durante la campagna elettorale aveva criticato il presidente uscente dicendo che era stato inefficace e privo di una reale forza di volontà nel combattere il gruppo estremista, sfruttando un malcontento e un’opinione piuttosto diffusa.

Nel frattempo Boko Haram – che da anni conduce razzie nei villaggi, distruggendo abitazioni e punendo duramente la popolazione, con uccisioni, stupri e rapimenti – ha dichiarato la propria “affiliazione” allo Stato Islamico (o ISIS): il suo obiettivo è istituire un Califfato Islamico. Finora l’esercito della Nigeria non è riuscito a contenere la sua espansione anche a causa, come hanno spiegato diversi analisti, di una strategia fallimentare: le cause sono principalmente la corruzione all’interno dell’esercito, i bassi stipendi dei soldati e i frequenti casi di ammutinamento. Dall’inizio di febbraio sono intervenuti in aiuto della Nigeria anche gli eserciti di Ciad e Niger.