Assolto una volta, assolto per sempre

Michele Ainis spiega sul Corriere qual è una soluzione per i tormenti di un processo come quello contro Knox e Sollecito

Raffaele Sollecito, center, leaves Italy's highest court building with his girlfriend Greta Menegaldo, in Rome, Friday, March 27, 2015. American Amanda Knox and her Italian ex-boyfriend expect to learn their fate Friday when Italy's highest court hears their appeal of their guilty verdicts in the brutal 2007 murder of Knox's British roommate Meredith Kercher. (AP Photo/Riccardo De Luca )
Raffaele Sollecito, center, leaves Italy's highest court building with his girlfriend Greta Menegaldo, in Rome, Friday, March 27, 2015. American Amanda Knox and her Italian ex-boyfriend expect to learn their fate Friday when Italy's highest court hears their appeal of their guilty verdicts in the brutal 2007 murder of Knox's British roommate Meredith Kercher. (AP Photo/Riccardo De Luca )

Sul Corriere della Sera  di domenica 29 gennaio Michele Ainis, costituzionalista, editorialista e docente all’Università di Roma Tre, spiega il problema del riesame giudiziario in Italia, che definisce «come la tela di Penelope: troppi appelli, troppi rimpalli da una corte all’altra». Ainis parte dalla sentenza della Cassazione che ha annullato senza rinvio le condanne a Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith Kercher, mettendo fine a un processo durato quasi otto anni, con «5 giudizi, 2 sentenze opposte delle Corti d’assise di Perugia e di Firenze, 3 interventi della Cassazione».

Il processo sull’omicidio di Meredit Kercher, con il suo esito finale raggiunto venerdì, lascia frustrati. Perché la vicenda giudiziaria s’è svolta a passo di lumaca; perché ci sono vittima e reato, ma l’unico condannato – Rudy Guede – lo è stato per omicidio «in concorso» non si sa con chi; per i molti verdetti contrastanti. In questa sconfitta della giustizia risiede però anche la sua vittoria.

Per trovare la giustizia bisogna esserle fedeli, diceva Calamandrei: come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede. Dopo l’ultima vicenda giudiziaria, difficilmente questa Dea guadagnerà nuovi proseliti. Perché il processo sull’omicidio di Meredith Kercher sconcerta anzitutto per i numeri, capricciosi come quelli del lotto. Quasi 8 anni per risolverlo, 5 giudizi, 2 sentenze opposte delle Corti d’assise di Perugia e di Firenze, 3 interventi della Cassazione. Appelli e contrappelli, mentre intanto quel processo diventava un caso internazionale, con americani e inglesi a fare il tifo gli uni contro gli altri. E mentre s’accendeva l’attenzione pubblica, con 2 film, 9 libri, migliaia di resoconti sui giornali. Quattro anni trascorsi in una cella per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, i presunti colpevoli. Infine la loro assoluzione: delitto senza castigo. O meglio con un mezzo castigo, giacché nel frattempo era stato condannato in via definitiva Rudy Guede, per «concorso in omicidio». Ma con chi concorreva il concorrente? Vattelappesca.

Da qui la frustrazione che ci lascia in corpo la vicenda. Perché intanto si è consumata a passo di lumaca; e la giustizia tardiva è sempre una giustizia negata, come recita una massima della Corte suprema statunitense. Perché in secondo luogo c’è la vittima, c’è il reato, ma non c’è invece il reo. Perché in terzo luogo i giudici ci hanno somministrato un ping pong di verdetti contrastanti, e chissà se ne hanno scritto almeno uno veritiero. Eppure in questa sconfitta della giustizia risiede altresì la sua vittoria. Il vero e il falso, ahimè, albergano in un nido d’ombra. E la verità giudiziaria non è meno opinabile della verità storica, filosofica, scientifica.

(continua a leggere sulla rassegna di Treccani)