Scrittori nel 2015

Michele Serra riflette sulla vita pubblica di chi fa libri, fatta di festival, presentazioni, autografi e alberghi

Michele Serra, Roberto Vecchioni, Remo Bassetti e Umberto Eco a un incontro alla libreria Mondadori di Milano, nel 2007. (Andrea Raso/Lapresse)
Michele Serra, Roberto Vecchioni, Remo Bassetti e Umberto Eco a un incontro alla libreria Mondadori di Milano, nel 2007. (Andrea Raso/Lapresse)

Su Repubblica di sabato 15 marzo Michele Serra spiega com’è fatta la vita di uno scrittore al giorno d’oggi, raccontando come funzionano le tournée per presentare i nuovi libri, con gli incontri con i lettori e i convegni con altri scrittori. Serra immagina cosa succederebbe se Gustave Flaubert pubblicasse oggi Madame Bovary, concludendo che probabilmente scatenerebbe un grande dibattito, ma che un lettore per poter leggere come si deve il libro dovrebbe «chiudersi in casa e non parlarne con nessuno, tantomeno con Flaubert»: in pratica, dice Serra, per capire e apprezzare i libri non servono presentazioni o convegni, anzi, alle volte è meglio starne lontani. Serra dice per questo di preferire i reading, dove si dà spazio solo al testo scritto.

I più celebri vanno in tour come star altri si accontentano di vitto e alloggio per partecipare a eventi e reading. In entrambi i casi questa vita pubblica non ha un impatto solo negativo: anzi il rapporto diretto con i lettori può anche stimolare la creatività. Ma attenti a evitare l’effetto Lady Gaga. Una volta varcate le porte del successo (basta anche un successo medio , anche un successo stagionale, anche un successo precario) per uno scrittore le tentazioni pubbliche sono quasi infinite. Tra festival grandi e piccoli, presentazioni in libreria, dibattiti, reading, convegni è possibile stare in tournée quasi tutto l’anno, nella migliore delle ipotesi inanellando un discreto numero di gettoni di presenza, nella peggiore scroccando cena e albergo a committenti quasi sempre felici di averti con loro.
Siccome non si sputa nel piatto dove si mangia, ogni considerazione supponente o annoiata su questo fiorente indotto della letteratura è del tutto fuori luogo; anche perché non si può passare la vita a deplorare la tendenza della gente a rimarsene a casa in mutande, inchiodata alla televisione e ad altri schermi domestici, e poi rimproverarla perché affolla i festival letterari, anche solo per avere una dedica malferma su un libro magari mai aperto, né destinato ad esserlo. Però è legittimo chiedersi se tutto questo incontrarsi, parlarsi, toccarsi, complimentarsi, tra scrittori e lettori, abbia una ricaduta positiva sulle rispettive attività, appunto scrivere e leggere. O sia, al contrario, molto divagante e dispersivo rispetto all’attitudine solitaria e silente che apparenta entrambi i protagonisti dello scambio letterario, scrittore e lettore.
Per quanto riguarda i lettori non saprei bene che dire. È possibile che la trasformazione degli scrittori in celebrities di vario calibro (ce n’è per tutti i gusti) distolga l’attenzione del pubblico dal testo e la sprofondi nel contesto. Dopotutto avere l’autografo dello scrittore Tizio, o addirittura bere un bicchiere con lui al bar adiacente il luogo del dibattito, può essere un’esperienza più intensa, più breve e soprattutto meno gravosa rispetto alla lettura del suo ultimo romanzo, per altro già ampiamente sviscerato nel corso della presentazione (la scena madre è stata letta da una brava attrice, con pathos ineguagliabile da un lettore ordinario).

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