Cosa ha deciso il TAR sulle trascrizioni dei matrimoni omosessuali a Roma

L'annullamento delle trascrizioni dei matrimoni nei registri comunali non può essere deciso dal prefetto ma, eventualmente, da un tribunale civile

Foto Daniele Leone / LaPresse
18/10/2014 Roma, Italia
Cronaca
Ignazio Marino regista 11 matrimoni gay, Campidoglio
Foto Daniele Leone / LaPresse 18/10/2014 Roma, Italia Cronaca Ignazio Marino regista 11 matrimoni gay, Campidoglio

Il TAR del Lazio ha stabilito che l’annullamento delle trascrizioni nei registri comunali dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero può essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria (quindi da un tribunale civile) e non dal ministro dell’Interno o dal prefetto, così come avvenuto nei mesi scorsi a Roma. Il tribunale ha infatti dichiarato nullo il provvedimento con il quale il prefetto di Roma, il 31 ottobre scorso, su indicazione del ministero dell’Interno aveva annullato le trascrizioni eseguite dal sindaco Ignazio Marino sul registro dello stato civile dell’anagrafe di Roma.

Lo scorso 18 ottobre, il sindaco di Roma Ignazio Marino aveva trascritto nei registri di stato civile i matrimoni celebrati all’estero di 16 coppie gay che ne avevano fatto richiesta al Comune. Era la prima volta che succedeva a Roma, ma la decisione di Marino seguiva una soluzione simile già adottata a settembre dal sindaco di Bologna Virginio Merola, poi seguita anche dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia e da altri, in base a quel principio di reciprocità per cui due persone sposate in Spagna o in Regno Unito sono sposate anche in Italia, e viceversa. Il ministro degli Interni Angelino Alfano aveva espresso parere contrario, sostenendo che quelle trascrizioni non erano conformi alla legge italiana e non avevano pertanto validità giuridica. Alfano aveva anche fatto circolare un documento tra tutti i prefetti affinché procedessero d’ufficio con l’annullamento.

Il 31 ottobre il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro aveva inviato al sindaco Ignazio Marino l’atto per l’annullamento delle trascrizioni dei 16 matrimoni gay contratti all’estero. Due coppie e lo stesso Comune di Roma avevano presentato tre distinti ricorsi amministrativi al TAR, che li ha accolti. I giudici hanno detto che «allo Stato, non è consen­tito cele­brare matri­moni tra per­sone dello stesso sesso e, con­se­guen­te­mente, matri­moni del genere non sono tra­scri­vi­bili nei Regi­stri di stato civile». Tuttavia il TAR ha anche stabilito che il loro annullamento può essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria: «Il mini­stero dell’Interno e le pre­fet­ture, quindi, non hanno il potere di inter­ve­nire direttamente, annul­lando le trascrizioni».

Sia Ignazio Marino che Angelino Alfano hanno commentato positivamente la sentenza: «Avevo sempre affermato, pur non essendo un esperto di giurisprudenza, che sulla base delle normative nazionali e comunitarie fosse un dovere del sindaco trascrivere un documento di un’unione avvenuta all’estero di due cittadini della mia città» ha detto il sindaco di Roma. Il ministero dell’Interno ha fatto sapere di aver sempre garantito con coerenza il quadro normativo attuale in materia di stato civile, che non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso, né di trascrivere quelli celebrati all’estero. In realtà la conseguenza della sentenza del TAR è che i matrimoni resteranno trascritti nel registro del Comune di Roma, fino a quando qualcuno non chiederà eventualmente a un tribunale civile di pronunciarsi: la legge sullo stato civile, scrive La Stampa, stabilisce che l’unico che può farlo è un procuratore della Repubblica.

Dopo le iniziative di vari sindaci sulle trascrizioni di matrimoni omosessuali contratti all’estero, si era iniziato a discutere molto sull’incompatibilità tra queste iniziative e le disposizioni del ministero dell’Interno e dei prefetti. Il TAR ha sostanzialmente dato ragione a chi sosteneva che la competenza non fosse né del ministero né del prefetto. Ma la questione è più ampia. Sono in molti, infatti, a chiedere che per mettere fine ai ricorsi e alle discussioni degli ultimi mesi si intervenga con una legge del Parlamento. Mentre a livello nazionale il presidente del Consiglio Matteo Renzi non è intervenuto sulla questione, in un documento che il governo presenterà all’incontro di marzo del Consiglio dei Diritti Umani l’Italia si è impegnata con le Nazioni Unite a riconoscere le unioni e anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso facendo seguito alle 186 raccomandazioni in cui si sollecitava tra le altre cose l’Italia a «fare passi concreti per adottare la legislazione necessaria a dare seguito all’annuncio del premier Renzi di lavorare al riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso».

Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, associazione che si occupa di diritti civili, ha detto: «Se veramente il governo italiano ha detto sì all’Onu sul matrimonio ugualitario, allora lo annunci anche al paese. Sono anni che aspettiamo una notizia di questo tipo. Se il governo ha preso questo impegno, a livello internazionale, ora sia conseguente e porti una legge in Parlamento». È della stessa opinione Flavio Romani, presidente di Arcigay: «Attendiamo la prova dei fatti. Gli impegni presi dall’Italia tracciano obiettivi per noi assolutamente condivisibili. L’auspicio è che questo sia davvero l’obiettivo e che, ad esempio, il principio di uguaglianza non lo si voglia ridimensionare a formule parziali e comunque discriminatorie, ma anzi rimanga il faro che guida questa discussione. E soprattutto attendiamo che, dopo anni di annunci infruttuosi, si possa dare per chiusa la fase delle parole per passare finalmente a quella dei fatti, perché il tempo, quando si parla di diritti fondamentali, non è una questione secondaria. Quindi il governo si responsabilizzi non solo rispetto agli obiettivi ma anche rispetto all’urgenza con cui essi devono essere raggiunti».

Foto: trascrizione dei matrimoni omosessuali a Roma, in Comune, 18 ottobre 2014 (Daniele Leone / LaPresse)