Gli scontri di Selma, 50 anni fa

Quando centinaia di manifestanti pacifici furono attaccati dalla polizia dell'Alabama: fu il momento di svolta nella lotta per i diritti civili dei neri americani

Il 7 marzo del 1965, 50 anni fa, la polizia dello stato americano dell’Alabama si unì a gruppi di cittadini volontari e assaltò seicento persone che stavano manifestando pacificamente sul ponte Edmund Pettus, nella città di Selma. Senza che ci fosse alcuna provocazione, i poliziotti caricarono i manifestanti a cavallo, li colpirono con i bastoni e lanciarono loro contro del gas lacrimogeno. Decine di persone rimasero ferite e le immagini degli scontri fecero il giro del mondo. Fu uno dei momenti più importanti nella lotta per i diritti civili dei neri americani e spinse l’allora presidente degli Stati Uniti, Lyndon Johnson, a promulgare il “Voting Rights Act”, la legge che vietò le discriminazioni elettorali su base razziale e che è considerata oggi uno dei risultati più importanti raggiunti dal movimento per i diritti civili. Gli eventi di Selma hanno anche ispirato il film “Selma”, uscito nel 2014 e candidato come miglior film agli Oscar 2015.

Le leggi Jim Crow
All’epoca degli scontri di Selma – erano gli anni Sessanta – negli stati americani del sud era ancora in vigore la segregazione razziale. I neri godevano soltanto di limitati diritti politici e civili e non potevano votare. L’insieme di leggi che non permetteva loro di votare veniva identificato sotto il nome di “Jim Crow“: erano norme che risalivano agli anni immediatamente successivi alla Guerra civile americana, terminata nel 1865. All’epoca il governo federale aveva imposto agli stati ribelli del sud la fine della schiavitù. Per cercare di limitare gli effetti della liberazione degli schiavi, i politici del sud avevano introdotto le leggi “Jim Crow” che di fatto rendevano i neri dei cittadini di serie B. Per quasi un secolo la Corte Suprema respinse tutti i ricorsi contro queste leggi. Poi, nel 1964, il presidente Johnson impose il “Civil Rights Act”, che rendeva illegali le discriminazioni su base razziale, religiosa e sessuale. In molti stati restavano però in vigore quelle leggi che impedivano ai neri di votare.

La marcia Selma-Montgomery
Tra il 1964 e i primi mesi del 1965 in tutti gli Stati Uniti ci furono moltissime manifestazioni organizzate dal movimento per i diritti civili per chiedere l’attuazione del “Civil Rights Act” e per rivendicare il diritto di voto. La polizia rispondeva spesso con molta durezza ed erano frequenti scontri violenti. Nel febbraio del 1965 si tenne nella città di Marion, in Alabama, una manifestazione per i diritti civili: a un certo punto l’illuminazione stradale venne spenta e la polizia caricò i manifestanti. Una delle persone che stavano partecipando alla protesta, Jimmie Lee Jackson, si rifugiò in un caffè insieme alla madre e venne raggiunto da due agenti. Ci fu uno scontro e Jackson fu ferito con due colpi di arma da fuoco allo stomaco. Otto giorni dopo Jackson morì all’ospedale della città di Selma per un’infezione causata dalla ferita.

In risposta all’incidente, una serie di organizzazioni per i diritti civili decisero di organizzare una marcia da Selma, dove era morto Jackson, a Montgomery, la capitale dell’Alabama. Lo scopo della marcia era cercare di costringere il governatore dello stato, George Wallace, a rispondere degli scontri che avevano portato alla morte di Jackson. Inoltre, come per le altre manifestazioni di quei mesi, gli organizzatori speravano di attirare l’attenzione dei media sulle continue violazioni dei diritti costituzionali dei neri e accelerare l’impegno del governo federale a mettere fine alla segregazione negli stati del sud. Wallace disse che la marcia era un rischio per la sicurezza pubblica e ordinò alle autorità locali di fare tutto il possibile per bloccarla.

Jim Clark, lo sceriffo della contea, obbedì con molta durezza. Oltre a raccogliere tutta la polizia a sua disposizione, fece pubblicare un ordine che imponeva a tutti i maschi bianchi oltre i ventuno anni di età di presentarsi al tribunale locale, così da essere nominati vice-sceriffo. La mattina del 7 marzo, Clark era pronto a opporsi alla manifestazione insieme a decine di agenti, poliziotti a cavallo e bande di cittadini armati di bastoni.

Come previsto dagli organizzatori, la marcia partì dalla città di Selma e circa seicento persone, in fila per due, cominciarono a muoversi lungo la statale 80 verso Montgomery. Dopo poche centinaia di metri arrivarono al ponte Edmund Pettus. All’uscita del ponte si era posizionato Clark con i suoi uomini. Coloro che si trovavano all’inizio del corteo cercarono di parlare con i poliziotti, senza successo: i manifestanti dovevano disperdersi immediatamente, disse la polizia. Pochi istanti dopo i poliziotti iniziarono a spintonare i manifestanti. I primi della fila furono buttati a terra, quelli dietro di loro cominciarono a indietreggiare e poi a correre, cercando di ritornare sul ponte. La polizia cominciò a colpirli con i bastoni, mentre altri agenti a cavallo caricavano i manifestanti in fuga sul ponte e altri agenti sparavano lacrimogeni in mezzo alla folla. In tutto 17 manifestanti furono ricoverati in ospedale.

Le altre marce
Alla manifestazione erano presenti decine di giornalisti e gli scontri furono ripresi da diverse telecamere. Le immagini delle violenze fecero il giro del mondo: in particolare la foto di Amelia Boynton, che era stata ripresa a terra priva di sensi, finì sulle copertine di moltissimi giornali. La brutalità della polizia si ritorse quasi immediatamente contro il governatore dell’Alabama. Johnson condannò immediatamente gli scontri, così come tutti i leader del movimento per i diritti civili. L’episodio fu subito ribattezzato “bloody sunday“, la “domenica insanguinata”. Due giorni dopo, Martin Luther King, uno dei più importanti leader del movimento, condusse un’altra marcia lungo lo stesso ponte. Anche questa volta lo scopo della marcia era raggiungere Montgomery e il palazzo del governatore, ma nuovamente un’ordinanza di un tribunale proibì ai manifestanti di completare la marcia. King e gli altri riuscirono comunque a radunare 2.500 persone. Attraversarono il ponte di Selma e si riunirono in preghiera sul luogo degli scontri davanti ai poliziotti in tenuta anti-sommossa, rinunciando a proseguire verso Montgomery. Quella sera stessa alcuni membri del Ku Klux Klan attaccarono e uccisero uno dei leader della marcia.

Quello che stava accadendo a Selma aveva oramai attirato l’attenzione di tutto il paese e di gran parte del mondo. Nei giorni successivi, King e gli altri leader del movimento organizzarono una terza marcia verso Montgomery. Questa volta riuscirono ad ottenere tutti i permessi necessari per arrivare fino alla capitale dello stato. Il 25 marzo, nell’ultima tappa della marcia, 25 mila persone arrivarono fin sotto le gradinate del palazzo del governatore dell’Alabama, dove King tenne uno dei suoi più celebri discorsi. Dieci giorni prima, il 15 marzo, il presidente Johnson aveva presentato al congresso il Voting Rights Act. Il 6 agosto dello stesso anno il Voting Rights Acts venne tramutato in legge, mettendo ufficialmente termine alle discriminazioni legali dei neri in tutti gli Stati Uniti.