Sei canzoni di Nat King Cole

Da riascoltare oggi che sono passati cinquant'anni dalla morte di uno dei più grandi crooner di sempre

Nat King Cole morì di cancro cinquant’anni fa, il 15 febbraio 1965. Queste sono sei sue canzoni che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, ha scelto per il libro Playlist, la musica è cambiata.

Nat King Cole
(1919, Montgomery, Alabama – 1965, Santa Monica, California)
Il crooner numero uno: cantante da piano bar, pianista jazz, rubacuori e voce da leggenda. Impossibile per una ragazza guardarlo cantare senza sbattere gli occhioni. A quattro anni già cantava “Yes, we have no bananas”, poi fu pianista jazz, poi star mondiale che se la batteva con Sinatra e Dean Martin. Gli toccò una vita in cui i jazzisti lo consideravano un traditore, i critici pop uno snob, i neri un servo dei bianchi e i bianchi un sovversivo nero. Ma le ragazze sbattevano gli occhioni a milioni. Fumava assai: morì di cancro al polmone a neanche 46 anni.

Embraceable you

(Jumpin’ at Capitol, 1943)
La storia del genere umano è dominata dalla presenza e dalla rilevanza del bacio, e siamo d’accordo: e la letteratura e l’arte ne risentono. Ma l’eleganza, la complicità e l’affidabilità di un abbraccio, vogliamo mettere, di fronte a baci dati ormai sulle guance di chiunque? “Embraceable you” era di Gershwin, naturalmente.

Mona Lisa

(The greatest hits, 1944)
La scrissero per un film con Alan Ladd ambientato sul lago d’Orta, che in Italia si chiamò “La spia del lago”: e Nat King Cole ci vinse un Oscar.

Stardust
(Love is the thing, 1957)
Quando finì sulle labbra di Nat King Cole, la canzone di Hoagy Carmichael aveva fatto molta strada ed era già un classico. Oggi se
ne contano quasi duemila incisio-
ni. Ma come lo dice lui, “samtàimsaiuònde…”.

Love letters
(Love is the thing, 1957)
Nel verso del prologo lui rivela che “nel profondo del mio cuore, io so che mi ami” – evocando la sublime telepatia dell’amore – salvo confessare che “so che mi ami, lo so, perché me lo hai detto”.

When I fall in love
(Love is the thing, 1957)
Grande standard, scritto come “Love letters” da Edward Heyman e Victor Young, e manifesto dell’integralismo sentimentale. O tutto, o niente: mi muovo solo per il grande amore. Un buon alibi per quando non si rimorchia in discoteca.

The Christmas song
(Nat King Cole story, 1961)
La canzone di natale delle canzoni dinatale,enonacasosièdatailtitolo didascalico. C’è tutto il repertorio, eschimesi e tacchino compresi, e instillerebbe un ripensamento persino nei più solidi sostenitori di “White Christmas” di Bing Crosby. “E anche se l’abbiamo già detto un sacco di volte e in tutti i modi: buon natale.”