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  • Martedì 27 gennaio 2015

Schettino va giudicato, non umiliato

La pena chiesta per il comandante della Concordia non è esagerata, scrive Goffredo Buccini sul Corriere, ma lo sono gli insulti del pm che gli ha dato dell'idiota

LaPresse17-01-2012 Grosseto, ItaliaCronacaGrosseto, udienza per il comandante Francesco SchettinoNella foto: Francesco Schettino
LaPresse17-01-2012 Grosseto, ItaliaCronacaGrosseto, udienza per il comandante Francesco SchettinoNella foto: Francesco Schettino

Goffredo Buccini sul Corriere della Sera scrive del processo sul naufragio della Costa Concordia e del suo imputato più famoso, l’ex comandante Francesco Schettino, per cui la procura ha chiesto una condanna a 26 anni di carcere. Buccini dice che la richiesta non è sproporzionata, qualora venisse accertata la colpa di Schettino, ma che i commenti e gli insulti rivolti a Schettino dal procuratore di Grosseto siano fuori luogo e finalizzati a «un annullamento del reo» piuttosto che alla sua condanna.

Il pm ha definito Schettino «bicefalo, tanto che per lui possiamo coniare il profilo dell’incauto idiota» e ha aggiunto, durante la sua requisitoria: «Dio abbia pietà di Schettino, perché noi non possiamo averne alcuna».

In Olanda, «Schettino» è il titolo di un surreale spettacolo di cabaret: monologhi sui leader da evitare. In America i repubblicani l’hanno usato come epiteto contro Obama: «Sei uno Schettino, abbandoni il Paese per andare in giro a raccogliere voti». A Taiwan ne hanno fatto un raccapricciante cartone animato. Dalle Alpi a Lampedusa, quel cognome è usato ormai come sinonimo di fellonia, in un meccanismo di de-umanizzazione che trova un precedente di potenza analoga soltanto in Girolimoni: il fotografo incastrato come pedofilo assassino dalla polizia fascista era peraltro innocente, ma girolimoni! è stato lungo tutto il Novecento insulto corrente per l’adulto che va con le ragazzine.

Insomma, diciamolo chiaro: per garantire a Francesco Schettino un processo non gravato da una montagna di emotività e pubblica riprovazione, bisognerebbe forse rifugiarsi in un igloo del polo o in una capanna della foresta amazzonica. È normale che sia così. Nel caso del naufragio del Giglio, col suo carico di morte, dolore e vergogna per l’Italia, non c’è certo da menar scandalo per l’indignazione popolare. Tuttavia qualcosa colpisce nella requisitoria terminata ieri a Grosseto contro il capitano che mandò la Costa Concordia a sbattere sugli scogli, mettendosi quindi in salvo prima dei suoi passeggeri. E non è la pena richiesta di 26 anni e tre mesi («quasi l’ergastolo, manco Pacciani…», hanno commentato i difensori): certo durissima ma, a nostro avviso, non sproporzionata ai fatti in un’ipotesi di colpevolezza.

(continua a leggere sulla rassegna stampa di Treccani)