La storia dei 101, un po’ più vera

Fabio Martini ricostruisce sulla Stampa come due anni fa fu demolita la candidatura di Prodi al Quirinale, da molti

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
30-05-2011 Roma
Politica
P.zza del Pantheon, festa del PD per la vittoria del centrosinistra alle elezioni amministrative
Nella foto Romano Prodi, Pierluigi Bersani

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
30-05-2011 Rome
The Democratic Party celebrated the victory in local elections
In the photo Romano Prodi, Pierluigi Bersani
Foto Roberto Monaldo / LaPresse 30-05-2011 Roma Politica P.zza del Pantheon, festa del PD per la vittoria del centrosinistra alle elezioni amministrative Nella foto Romano Prodi, Pierluigi Bersani Photo Roberto Monaldo / LaPresse 30-05-2011 Rome The Democratic Party celebrated the victory in local elections In the photo Romano Prodi, Pierluigi Bersani

Le modalità con cui il Partito Democratico si cacciò nel disastro politico più imbarazzante della sua storia – il fallimento della candidatura di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica, nel 2013 – sono ancora oggi tema di ricostruzioni molto diverse, quasi sempre strumentali, e di accuse reciproche all’interno del partito. Dopo che Stefano Fassina aveva nei giorni scorsi evocato sbrigativamente una responsabilità di Matteo Renzi nel guidare il voto contrario a Prodi, oggi sulla Stampa Fabio Martini mette in fila con maggior ordine, dati e testimonianze, una successione di eventi più chiara e verificata che sembra raccontare che il concorso di scelte sia stato assai più esteso, che il presunto consenso per alzata di mano nella riunione in cui si decise la candidatura sia stato assai più limitato, e che le colpe vadano forse attribuite a chi promosse una candidatura così rischiosa e a chi tacque durante quella riunione.

È una storia infinita. Ogni giorno si arricchisce di un nuovo colpevole. Di un nuovo, fantomatico capo. Ma la vera storia dei centouno grandi elettori del centrosinistra che «tradirono» Romano Prodi il 19 aprile del 2013 è molto diversa dalla vulgata prevalente: nei 21 mesi da allora trascorsi tanti tasselli si sono via via ricollocati e altri, ancora inediti, compongono un plot davvero spiazzante. Privo di una regia unica e di «uomo nero», ma ricco invece di «colpevoli» rimasti nell’ombra. Una storia esemplare anche in vista della conta ormai imminente.

Il primo «piano sequenza» inquadra Eataly, il mega-store di prodotti culinari italiani inventato da Oscar Farinetti. È la sera del 18 aprile 2013 e il giorno prima si era consumato il flop di Franco Marini, candidato al Quirinale dell’accordo tra Bersani e Berlusconi. In quelle ore il Pd sta decidendo di cambiare cavallo e strategia e a quel punto il sindaco di Firenze Matteo Renzi, sempre così restio a farsi vedere a Roma, si scomoda. Convoca i «suoi» 35 parlamentari al ristorante e gli comunica: «Si vota Prodi». Renzi non mostra incertezze, perché intuisce che se si forma un governo di legislatura, lui rischia di finire per cinque anni nel freezer. In quelle ore un politico dal naso fine come Gaetano Quagliariello constata: «Prodi è una scelta legittima ma che va inevitabilmente verso la fine della legislatura». Renzi scommette su un Capo dello Stato indipendente, capace di sciogliere le Camere. Uscendo da «Eataly», a chi gli chiede se si senta il vincitore della giornata, il sindaco replica: «No. Vince l’Italia se domani sarà eletto un presidente di grande rilievo internazionale». Dunque, fortissimamente Prodi. Candidato e profilo recentemente persi di vista, ma è pur vero che la sparata di qualche giorno fa da parte di Stefano Fassina («Renzi è il capo del 101!») risulta priva di fondamento.

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