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  • Venerdì 23 gennaio 2015

Kirchner e la morte del procuratore Nisman

Anche la presidente argentina ha detto di dubitare del suicidio del magistrato che indagava su di lei, malgrado per ora resti l'ipotesi più fondata

In Argentina proseguono le indagini sulla morte di Alberto Nisman, il procuratore che stava indagando sul presidente Cristina Kirchner e su alcuni membri del governo, trovato morto il 19 gennaio nel suo appartamento di Buenos Aires. L’ipotesi ritenuta più plausibile continua a essere quella del suicidio, ma giovedì la stessa Kirchner ha pubblicato un sorprendente messaggio sul suo sito personale in cui dice di “essere convinta” del fatto che Nisman non si sia suicidato. Nei primi giorni della settimana sono state organizzate diverse manifestazioni in ricordo di Nisman, con migliaia di persone che hanno chiesto trasparenza sulle indagini per la sua morte.

Nisman aveva 51 anni e stava indagando da tempo su un attentato a un centro ebraico di Buenos Aires avvenuto nel 1994, nel quale erano morte 85 persone e ne erano rimaste ferite almeno 200. Avrebbe dovuto presentare proprio il giorno della sua morte un primo rapporto sulla sua inchiesta a una commissione parlamentare, ma è stato trovato morto nel bagno della sua abitazione, ucciso da un colpo di pistola alla testa. A poca distanza dal suo corpo c’era un’arma dello stesso calibro del proiettile che lo ha ucciso, almeno stando ai primi risultati delle indagini condotte dalla polizia. L’autopsia ha confermato che la morte è stata causata da un colpo di arma da fuoco. Secondo la procura si è trattato probabilmente di un caso di suicidio, ma si sta ancora indagando per capire se possa essere stato indotto da qualcuno.

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Nella sua lunga lettera pubblicata online, Kirchner dice di avere letto i documenti che Nisman avrebbe dovuto presentare al Parlamento e ne smonta il contenuto, dicendo che non contengono “niente di nuovo”, come hanno titolato alcuni giornali che hanno seguito la vicenda. Nella seconda parte del suo messaggio, si occupa invece della morte del procuratore facendosi diverse domande. Si chiede per esempio perché interruppe rapidamente il suo viaggio a Parigi, tornando in Argentina e annunciando su WhatsApp a un gruppo di amici di essere pronto “perché giustizia sia fatta”. Kirchner si chiede anche perché Nisman inviò – se aveva in mente di uccidersi – a un membro importante della comunità ebraica la foto di un tavolo con i documenti della sua inchiesta il giorno prima di morire, dicendogli di essere quasi pronto per la sua testimonianza davanti alla commissione parlamentare. Viene anche ipotizzato che il procuratore avesse ricevuto notizie scorrette e fuorvianti sull’attacco del 1994, forse da qualcuno che voleva sfruttare l’inchiesta a fini politici.

Kirchner si chiede anche perché Nisman abbia dovuto farsi prestare una pistola per suicidarsi, quando già disponeva di diverse armi:

Non potrà che sembrarvi strano che qualcuno sia trovato morto, ucciso da un’arma registrata a nome di un’altra persona e che quella persona si scopra poi essere stata l’ultima ad averlo visto vivo, ad avergli dato la pistola sul posto della sua morte e che sia inoltre un suo assistente che aveva lavorato al caso del centro ebraico dal 2007.

Kirchner conclude dicendo che ci sono molte domande sulla morte di Nisman cui la procura che sta indagando dovrà trovare una risposta, e aggiunge di “non avere prove, ma nemmeno dubbi”.

Le prove raccolte fino a ora, ed esposte nei giorni scorsi dalla procuratrice Viviana Fein, sembrano però dimostrare che Nisman si sia davvero ucciso. Sul suo corpo non sono stati trovati segni di ferite o colluttazioni avvenute poco prima della morte; l’appartamento al momento del ritrovamento era in ordine: aveva un accesso principale e un altro di servizio e la porta d’ingresso era chiusa dall’interno, mentre quella di servizio era “chiusa, ma non a chiave”, secondo la testimonianza del fabbro chiamato per aprire l’appartamento. C’era comunque una terza via di accesso costituita dall’intercapedine per l’aria condizionata. Sul posto sono state rilevate impronte digitali e di suole di scarpe, che devono essere ancora analizzate.

Nisman aveva accusato Kirchner, il ministro degli Esteri e altri funzionari del governo di avere cospirato per insabbiare un’indagine che si sarebbe dovuta occupare del coinvolgimento dell’Iran nell’attentato del 1994. Secondo Nisman, Kirchner avrebbe chiesto al suo ministro degli Esteri Hector Timerman e ad altri funzionari di attivarsi per trovare una qualche forma di immunità per alcune persone di origini iraniane sospettate per l’attacco, sperando in questo modo di migliorare i rapporti diplomatici e commerciali con l’Iran per ottenere forniture di petrolio a prezzi più vantaggiosi e attenuare così i problemi dovuti alla crisi energetica in Argentina. Il piano alla fine non sarebbe stato comunque realizzato.

A distanza di venti anni non sono ancora del tutto chiare le responsabilità per l’attacco contro il centro ebraico. Nisman sosteneva che la strage sarebbe stata organizzata dall’Iran, che avrebbe poi affidato al gruppo libanese Hezbollah il compito di eseguirla. Nel 2007 furono emessi mandati internazionali per l’arresto di sei cittadini iraniani sospettati di essere coinvolti nell’attacco. Sono ancora latitanti e in più occasioni il governo iraniano ha negato qualsiasi coinvolgimento. Secondo l’inchiesta, quando erano in corso le trattative per organizzare la commissione intergovernativa tra Argentina e Iran, il ministro degli Esteri argentino avrebbe promesso di fare pressioni sull’Interpol per fare ritirare i mandati di cattura. Le cose si sarebbero complicate quando l’Interpol decise di mantenere i mandati, indebolendo il progetto.